Che cosa portare con sé?
Mi càpita di scrivere qui proprio alla fine di luglio, per un numero che uscirà nei primi giorni di agosto quando, per lo più, saremo in vacanza e i luoghi in cui ci ritroveremo saranno quelli del mare o della montagna.
Cosa portare con sé? Vacanza deriva dal verbo latino vacare che significa essere privo e, anche, dedicarsi a. Proprio ragionando su questo, sul tempo e sui luoghi, si potrebbe portare qualcosa che non pesa ma cui si può tornare, con un po’ di dedizione. Delle poesie, per esempio.
Su questo spazio mi piacerebbe riportare le parole degli altri, alcune del passato e alcune del presente, alcune molto e alcune poco conosciute, scelte per i fili anche solo trasparenti che le legano. Senza nessun commento, se non citandone il nome, dell’autore e della poesia.
Iniziamo con un testo che parla di montagne, Sorapis, 40 anni fa, del premio Nobel Eugenio Montale (1896-1981) appartenente alla raccolta Diario del ’71 e del ’72 pubblicata nel 1973, per proseguire con un testo che evoca l’oceano, Clifden, del giovane poeta ticinese Yari Bernasconi (1982), uscito in Nuovi giorni di polvere nel 2015.
Eugenio Montale, Sorapis, 40 anni fa
Non ho amato mai molto la montagna
e detesto le Alpi. Le Ande, le Cordigliere
non le ho vedute mai. Pure la Sierra
de Guadarrama mi ha rapito, dolce
com’è l’ascesa e in vetta daini, cervi
secondo le notizie dei dépliants turistici.
Solo l’elettrica aria dell’Engadina
ci vinse, mio insettino, ma non si era
tanto ricchi da dirci hic manebimus.
Tra i laghi solo quello di Sorapis
fu la grande scoperta. C’era la solitudine
delle marmotte più udite che intraviste
e l’aria dei Celesti; ma quale strada
per accedervi? Dapprima la percorsi
da solo per vedere se i tuoi occhietti
potevano addentrarsi tra cunicoli
zigzaganti tra lastre alte di ghiaccio.
E così lunga! Confortata solo
nel primo tratto, in folti di conifere,
dallo squillo d’allarme delle ghiandaie.
Poi ti guidai tenendoti per mano
fino alla cima, una capanna vuota.
Fu quello il nostro lago, poche spanne d’acqua,
due vite troppo giovani per essere vecchie,
e troppo vecchie per sentirsi giovani.
Scoprimmo allora che cos’è l’età.
Non ha nulla a che fare con il tempo, è qualcosa che dice
che ci fa dire siamo qui, è un miracolo
che non si può ripetere. Al confronto
la gioventù è il più vile degl’inganni.
Yari Bernasconi, Clifden
Siamo arrivati presto, con anticipo sulla nebbia.
La camera è stretta, la donna che ci accoglie stanca.
Ha una voglia sul braccio destro, una macchia informe,
rossastra, uno scarto apparente: grazie, diciamo,
mentre lei scende le scale e se ne va.
*
Ci sono i venti inquieti dell’oceano, sulla faccia
il grido rauco del vuoto, quel luogo immaginario
che ci inghiotte, noi due che camminiamo,
e ci rigetta sulle gambe, in piedi, su una strada
ancora uguale, ancora aperta.