Arrivare fino alla cima
Che la scalata sia metaforica o meno, la domanda è sempre la stessa e le parole della poesia possono venire in nostro soccorso per trovare una risposta.
«Arriviamo fino in cima?»
È la domanda che ci si fa, spesso, tra i valloni delle montagne. Una domanda semplice che si rivolge a un compagno, prima di scegliere se salire oppure tornare indietro. Si guarda attentamente il terreno, la neve, l’altezza dei picchi e le nuvole. Poi ci si guarda in faccia, negli occhi, sulle mani. E si decide di andare.
A volte, durante la salita, i pensieri si arrestano e rimangono dove si è partiti. Altre volte, invece, sono le parole degli altri ad accompagnarti e a darti fiato nuovo. L’ultima volta, sulle Alpi Occidentali, a rimbombarmi in mente è stato un brano di un poeta francese Maurice Blanchard (1890-1960), tratto da I prati spaccati di Afrodite (lo si può leggere in traduzione nella bella antologia Fondo di cantina. Poesie francesi del ‘900, Acquaviva 2011):
«Le grandi nuvole non lanciano mai i loro ormeggi nella nostra verde mano. E siamo noi i coccodrilli in festa, e siamo noi che saliamo lassù, e siamo noi che, sbam!, fissiamo lo strallo nella gola delle nuvole, nella bocca molto aperta delle lacrime. E le nostre braccia sono gli amanti delle grandi trapunte nere, e siamo noi che danziamo in cima alle nostre anime, sulle voragini, facendo dei grandi passi in cima alle nostre anime, in cima alle nostre corde, in cima ai nostri miracoli».
A volte, arrivare in cima alle nostre anime, alle nostre corde, ai nostri miracoli, significa solo salire dove non pensavamo di poter arrivare, guardare di sotto e respirare. Chissà se queste parole risuoneranno compagne in altre salite.