Riflessioni

Fa caldo. È lunedì. Sono in ufficio

Settembre tempo di rientri, di nuovi inizi e di nuovo progetti in un mondo sempre uguale: in questo mese «tutto nuovo e tutto uguale» la riflessione di Andrea Castiglioni scandaglia una realtà in cui forse trova riscontro l’esperienza di molti, non senza l’invito a riscoprire la gioia dell’iniziare.

È uno di quei caldi lunedì di settembre.
Uno di quei lunedì in cui gli uomini incravattati hanno la mente ancora stesa sui caldi litorali di qualche spiaggia esotica, in cui le donne soffrono terribilmente la disabitudine a fastidiosissimi tacchi e l’inquietudine rispetto al suono della sveglia ci fa domandare furiosi perché tutto debba obbligatoriamente ricominciare.
Uno di quei lunedì in cui però, quasi malinconicamente, si respira nell’aria anche quell’inquietudine e frizzantezza tipica di un nuovo inizio.
Tutto nuovo e tutto uguale. 

Sono quei momenti in cui tutti – chi con coscienza e chi quasi per forza – pianificano e dettagliano aspettative per i mesi a seguire.
È la stessa domanda che Flavio, uno dei “quasi per forza”, sta cercando di evitare mentre, ancora assopito, si avvia controvoglia a prendere la solita metropolitana. Caracolla verso la solita fermata della verde con il solito abito consumato, un nodo alla cravatta non perfettamente allacciato e una vecchia ventiquattrore che quasi striscia sul caldo asfalto della periferia milanese.

«L’unica gioia al mondo è cominciare» legge su un libro un po’ stropicciato che tiene tra le mani.
Chiude immediatamente. «Non è tempo di fare della filosofia» pensa tra sé e sé.
In fondo è un uomo come tanti, con i suoi problemi, le sue preoccupazioni e le ferite tipiche di chi ha scoperto che la vita è una cosa seria e, a volte, purtroppo, anche molto crudele.
Lui, una moglie con cui convive a forza e un figlio di sei anni vivace e pieno di vitalità, sono tutta la sua piccola famiglia; una mamma malata da tempo e la necessità di arrivare a fine mese garantendo una vita dignitosa alla gente a cui vuole bene, sono invece le sue principali preoccupazioni.
Tutte cose molto più concrete di quella stupida frase letta su uno stupido libro.
C’è da pensare alla mamma, alla sua malattia, accompagnarla in ospedale. C’è il piccolo che inizia la scuola, da portare a calcio e a catechismo. E poi c’è il rapporto con la moglie, il mutuo pagare, il bagno da sistemare, la vicina che continua a lamentarsi…

Eppure, non sa perché, ma in questo lunedì di settembre non riesce a fare a meno di domandarsi che senso abbia tornare al lavoro.
«Certo», riflette silenziosamente, «in qualche maniera, bisogna pur sopravvivere», ma i suoi occhi e il suo volto non possono nascondere la stanchezza nei confronti di quell’ambiente di facciata, di quell’ufficio e di quel capo che non capisce le sue potenzialità.
Rilegge celermente la propria vita, con quella disinvoltura tipica di chi, poco prima di un esame, ripassa gli appunti presi in aula. Le pagine della sua vita gli raccontano di ruffiani che riescono a far carriera, di coltellate alla schiena, di approfittatori che trovano scorciatoie per accaparrarsi una posizione.
Perché ributtarsi in quelle dinamiche umane cariche di superficialità, conformismo e falsità?

Flavio ha ragione, eppure continua a caracollare al lavoro, con la sua vecchia ventiquattrore, tarlato da questa domanda a cui non intravede nemmeno uno spiraglio di risposta.
«Certo che ha ragione…»
Ha ragione perché i ruffiani continueranno a far carriera.
Ha ragione perché il suo capo continuerà a non attribuirgli il valore che merita.
Ha ragione perché i rapporti con i colleghi continueranno ad essere finti e di facciata.
Ha ragione. 
Tutto nuovo e tutto uguale.
Ecco che allora mi sembra quasi di scorgerlo in lontananza, mentre stanco con le spalle abbassate e la testa china, cammina verso il suo ufficio.
Ho come la percezione che quella domanda che lo assilla, la stia ponendo a me. 
Per un attimo infinitesimale mi sembra di sognare che, alzando la testa, prima di aprire la porta dell’ufficio, i suoi occhi stanchi ma carichi di aspettative mi guardino e mi che chiedano urgentemente una risposta.

«Flavio lo stai chiedendo a me?»
Perché riiniziare? Perché riaprire la sfida quotidiana dell’ufficio?
Forse anch’io chino la testa, timbro il cartellino, faccio quello che “devo” e aspetto lo stipendio di fine mese.
Forse anch’io sono stufo dei ruffiani, stufo degli arrivisti, stufo di coloro che rubano un salario e di coloro che si fanno una carriera con certe prestazioni fuori orario.
Eppure, gli occhi cielo di Flavio mi obbligano ad una serietà maggiore. Me la impongono.
Non che tutto, purtroppo, non sia terribilmente reale e quotidiano, ma è necessaria quella serietà umana che si ha nei confronti di un bimbo che, fissando il proprio papà, gli chiede ingenuamente ma carico di speranza: «Papà, perché vale la pena venire al mondo?».
Insomma, perché vale la pena alzarsi, con gli occhi stanchi e l’animo sottile, per trascinarci al lavoro ogni santo giorno che ci viene concesso su questa terra?

«Caro Flavio,
io non ho risposte preconfezionate. Sono sempre stato più bravo a pormi tante domande, piuttosto che a offrire risposte. 
Forse hai sbagliato interlocutore, forse dovresti chiedere a un papà vero.
Però posso raccontarti che, in maniera misteriosa e spesso senza la mia piena consapevolezza e coscienza (anch’io ho gli occhi stanchi e l’animo sottile), la mia vita lavorativa è stata invasa da attimi di vitalità inaspettati e da incontri sorprendenti.
Un collega che dentro la difficoltà ti porge una mano inattesa, oppure la semplicità di una gioia personale e magari non riconosciuta da nessuno (nemmeno dal capo) per aver portato a termine un progetto di cui sei sinceramente soddisfatto e contento.
Quando accadono questi piccoli miracoli quotidiani mi viene sempre in mente mio nonno e il suo mestiere di falegname. Proprio lui che, burbero ma pragmatico, mi ripeteva costantemente questa frase:
“La gamba di una sedia deve essere ben fatta. È naturale, è inteso. Non occorre che sia ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non deve essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Deve essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura.”
Vedi Flavio, forse ha ragione quello stupido libro che tenevi tra le mani, che, se avrai il desiderio di continuare a leggere, dice proprio: “è bello vivere, perché vivere è cominciare, sempre ad ogni istante”.
Sì, sempre… e ad ogni istante.
Oppure, come sei solito dire tu: tutto nuovo e tutto uguale.
Anzi meglio… riscoprire dentro le pieghe della giornata lavorativa, che tutto è uguale… ma misteriosamente nuovo».

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