La metapoesia di Valerio Magrelli
Maggio è il mese del Salone del libro di Torino, che quest’anno si tiene da giovedì 19 a lunedì 23, e come sempre questo grande evento è l’occasione per ragionare di libri e di editoria, per tener conto delle dinamiche di composizione dei volumi e per affondare a piene mani nelle pagine, anche di poesia, come quelle di Valerio Magrelli.
Il prefisso che indica che un campo del sapere indaga e gioca con sé stesso è “meta”, e così, per esempio, la letteratura che discute e che s’imbeve di letteratura si definisce metaletteratura. I testi che afferiscono a questo genere sono tutti quelli che insistono sui processi della pratica letteraria e dello scrivere, e possono essere narrativi, teatrali, poetici.
Proprio uno dei poeti italiani più riconoscibili, Valerio Magrelli, ha fatto dell’esercizio metapoetico uno dei suoi tratti distintivi. L’autore romano, infatti, che sarà presente al Salone per presentare il suo ultimo libro Exfanzia, il 22 maggio alle ore 14 presso la Sala Rosa, è docente alle università di Pisa e Cassino, traduttore e critico letterario e la sua poesia agevolmente si muove tra queste attività, attingendo al laboratorio in cui si compongono le parole e i versi.
Sono moltissimi, dunque, i testi che s’interrogano sulla natura e sulle modalità del poetare. Testi semplici e affascinanti, che riportano al lettore le sensazioni elettriche del ragionamento e che cercano la vera natura della parola.
La metapoesia non è infatti uno sterile esercizio ma è una mano tesa al lettore che, compiendo passo per passo, attraverso le scale dei versi, le salite e le discese del poeta, può domandarsi lui stesso dell’uso che fa della parola, il simbolo più quotidiano ed umano che esista e centro pulsante dell’esistenza.
Qual è la sinistra della parola, come si muove nello spazio, dove proietta la sua ombra (ma può una parola fare ombra?), come osservarne il retro o poggiarla di scorcio? Mi piacerebbe rendere in poesia l’equivalente della prospettiva pittorica. Dare ad un verso la profondità del coniglio che scappa tra i campi e renderlo distante mentre già si allontana da chi osserva dirigendosi verso la cornice sempre più piccolo ma fermo tuttavia. La campagna lo osserva, e si dispone intorno all’animale, al punto che la fugge. (da Nature e venature, 1987)
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Dieci poesie scritte in un mese non è molto anche se questa sarebbe l’undicesima. Neanche i temi poi sono diversi anzi c’è un solo tema e ha per tema il tema, come adesso. Questo per dire quanto resta di qua della pagina e bussa e non può entrare, e non deve. La scrittura non è specchio, piuttosto il vetro zigrinato delle docce, dove il corpo si sgretola e solo la sua ombra traspare incerta ma reale. E non si riconosce chi si lava ma soltanto il suo gesto. Perciò che importa vedere dietro la filigrana, se io sono il falsario e solo la filigrana è il mio lavoro. (da Ora serrata retinae, 1980)