Il Sé e il Senso in Terra Santa: chiamati alla scoperta
Nella settimana dal 12 al 19 maggio un gruppo di studenti e dipendenti delle sedi di Milano e Roma dell’Università Cattolica, guidati dall’Assistente Don Daniel Balditarra, ha avuto l’opportunità – per iniziativa del Centro Pastorale del nostro Ateneo – di visitare e conoscere nell’intimo del quotidiano i principali luoghi che abitualmente si indicano con l’espressione “Terra Santa”. La riflessione su questo viaggio intenso a cura di Maurizio Giuiusa, studente del Collegio Augustinianum.
Un viaggio che, sulla strada della fede, ha permesso di vivere territori, storie e culture che, pur appartenendo a più popoli, convivono e coesistono – non senza contraddizioni evidenti e rancori tanto antichi quanto assurdi – sotto lo stesso cielo da millenni.
“Il messaggio di Gerusalemme non è avulso dalla realtà e non è lontano dalla vita, è molto realistico. (…) A Gerusalemme Gesù ha dato la sua vita per noi. La Via Dolorosa, la via crucis che attraversa la città, si estende attraverso la storia dell’umanità fino a oggi. Gerusalemme è la città della devozione e della speranza. (…) Il messaggio di questa città è: la luce è più forte dell’oscurità”.
Queste parole del card. Carlo Maria Martini – che, inguaribile amante della bellezza di Gerusalemme, lì visse prevalentemente dal 2002 al 2007 dopo aver retto il governo della Chiesa ambrosiana – appaiono utili per addentrarsi nel mistero di una terra che da sempre ha visto spiritualità e umanità viversi reciprocamente, tessere le trame di un rapporto visceralmente intimo e autentico che ha attraversato la storia nei secoli per arrivare sino ai giorni nostri.
Quanti si trovano a mettersi in viaggio – o, meglio, in pellegrinaggio – alla volta di questi antichissimi luoghi ben presto si rendono conto di come l’accesso non possa che avvenire “per la porta stretta” (Lc 13, 24): il primo approdo del nostro gruppo di pellegrini, infatti, una volta usciti in tarda serata dall’aeroporto di Tel Aviv, è stato la città di Betlemme. Nella Basilica della Natività, lì dove “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14) l’ingresso è consentito solo attraverso la cosiddetta “porta dell’umiltà”, alta appena un metro e mezzo circa: volutamente ridotta per impedire l’accesso a cavallo, l’entrata costringe a farsi piccoli e chinarsi, lasciando all’esterno le sicurezze, gli eccessi e il superfluo della nostra vita per accostarci in umiltà al Mistero dell’incarnazione di Dio in un bambino, la più indifesa delle creature nella quale tuttavia il Padre scelse di far rifulgere la Sua gloria ed instillare il disegno di salvezza.
Un cammino, quello del pellegrino, che è improntato alla riscoperta delle radici, dell’Alfa che alla storia di ogni uomo dà vita. Per riuscire nell’impresa, quindi, sin da subito si è dimostrato imprescindibile accogliere il dono del silenzio: se innumerevoli sono stati i momenti di risate felici e fraternità profonda – basti pensare agli abbracci e ai sorrisi brillanti davanti alle acque del Mediterraneo ad Acco o alle serate conviviali a Nazaret e Gerusalemme –, non sono comunque mancate le occasioni di raccoglimento e ascolto interiore, istanti privilegiati per creare un contatto con il Senso. A partire dalla celebrazione della Santa Messa nel deserto del Negev o cullati dalla brezza senza tempo del lago di Tiberiade, percorrendo nel frastuono del mercato cittadino la Via della Croce con quell’“uomo dei dolori che ben conosce il patire” (Is 53, 12) per concludere con l’Ora Santa nella basilica del Getsemani circondati nella penombra dagli ulivi di quel monte in cui Gesù “pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra” (Lc 22, 44) e dove pianse amaramente su Gerusalemme, tutto interpellava quell’intimo bisogno di introspezione che alberga nel profondo di ogni essere umano sempre alla ricerca di un ordine, come insegna Sant’Agostino nelle sue Confessiones: “Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te”.
Un pellegrinaggio di ricerca, quindi, e non solo di scoperta. Un cammino cominciato in Italia e che ha fatto tappa nella Nazaret in cui “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52), a Cafarnao con la sua sinagoga, a Tabgha del Primato di Pietro con le parole “Pasci le mie pecore” (Gv 21, 17), sul Monte delle Beatitudini dove risuonò l’annuncio “Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5, 12), a Magdala, a Cana di Galilea dove “Gesù diede inizio ai suoi miracoli, (…) manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2, 11) e ancora nelle chiese di S. Pietro in Gallicantu – lì si avverarono le parole “questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte” (Mt 26, 34) – e di S. Anna, in cui si ricorda la nascita di Maria.
Da ultimo, la meravigliosa scoperta di Gerusalemme che con le sue diverse anime, religioni e divisioni – tra ebrei, cristiani, armeni e musulmani – rappresenta il culmine di una storia millenaria che ancora oggi parla all’uomo e dal Muro del Pianto alla Spianata delle Moschee fino al Golgota e al Santo Sepolcro racchiude la meta per eccellenza delle tre grandi religioni monoteiste, lì sempre pronte ad osservarsi e scrutarsi. Ancora una volta le parole del card. Martini rischiarano la via per comprendere la realtà di questa terra e da essa lasciarsi conquistare, accogliere, istruire, innovare: “Qui le grandi e piccole cose assumono una dinamica divina. Gerusalemme è un’immagine della fede con tutte le difficoltà. Ma la speranza è più forte. Gerusalemme è la mia patria. Prima della patria eterna”.