Salute

Mangiare sano e mangiare diverso: la Giornata mondiale dell’Alimentazione

Il 16 ottobre ricorre la Giornata mondiale dell’Alimentazione: le basi della sana alimentazione prevedono in maniera imprescindibile il ricorso sistematico al principio della varietà per cui non solo bisogna mangiare cose buone e sane, ma anche ampiamente differenziate.

Biodiversità alimentare, ossia mangiare diverso

Dopo essersi assicurata la disponibilità di un alimento sano, ed al limite certificato, le basi della sana alimentazione prevedono in maniera imprescindibile il ricorso sistematico al principio della varietà per cui non solo bisogna mangiare cose buone e sane, ma pure ampiamente differenziate. La ragione di questa diversità alimentare risiede nel fatto che, dovendosi assicurare all’individuo un fabbisogno giornaliero di molte sostanze (nutrienti), l’apporto non può derivare da un numero ridotto di alimenti, ma richiede l’uso di decine o centinaia di alimenti base (ed eventualmente trasformati). Ogni alimento che noi utilizziamo infatti non contiene singolarmente tutti i principi indispensabili alla vita: per tale motivo, la completezza nutrizionale deve essere garantita tramite una vasta scelta di alimenti diversi e appartenenti a differenti categorie alimentari.

È la storia stessa della nutrizione ad offrire, del resto, eclatanti esempi di come la diversità alimentare, se non opportunamente considerata e perseguita, esponga a rischi gravi per la salute intere popolazioni: malattie fatali come il Beri-Beri in India e la Pellagra in Italia nel XIX secolo sono esempi di patologie insorte presso delle realtà sociali in cui il riso, nel primo caso, e la farina di mais (polenta), nel secondo, costituivano per necessità il ‘piatto base’ esclusivo ed evidentemente mono-tono: il variare è allora un imperativo per gli esperti di nutrizione che caldeggiano a comporre piatti in cui sia ricercata la massima rappresentanza di colori e  sapori, di specie vegetali e animali commestibili. 

Al di là dei fornitori ultimi dei nostri alimenti è del tutto evidente che il primo vero – e forse unico – “rivenditore autorizzato” è la nostra generosissima Natura. L’approvvigionarsi di alimenti, di stagione e tradizionali, oppure esotici, di nicchia e derivati da nuove ibridazioni, è pur sempre un tuffo sicuro nella biodiversità alimentare.

Solo da un ambiente naturalmente e biologicamente ricco e vitale è credibile che discendano quei numerosi alimenti tali da soddisfare le indicazioni salutistiche dei nutrizionisti. 

C’erano una volta le mele cotogne, l’uva spina e le giuggiole; oggi mangiare il nero dei nebrodi è un evento e sui banchi del mercato, quando va bene, si trovano, si e no, pochi tipi di pere e  di insalata. Tralasciando valutazioni di merito, è oggettivo che il corso virtuoso della globalizzazione, aprendo a grandi numeri da diversi punti di vista ed in tantissimi settori, ha al contrario sacrificato, in una logica inversamente proporzionale, giustificata solo in parte dalle asettiche esigenze di mercato, la ricchezza delle specie alimentari. Posso trovare, ad esempio, una fragola a gennaio, a Roma, Parigi o New York, ma quasi mai una mela annurca.

Per contenere taluni degli effetti collaterali conclamati della globalizzazione e, al tempo stesso, più in generale, per favorire scelte “progressiste” (di vita e benessere) al pianeta, l’impegno al mantenimento della biodiversità è comunque un obiettivo imprescindibile.

Da questo punto di vista, discendendo quella alimentare dalla Biodiversità più generale è chiaro che si stabilisce un’alleanza operativa fra le esigenze della moderna Scienza dell’Alimentazione ed il mondo dell’Ecologia. Pretendere il piatto ricco (e vario) contribuisce a salvare la biodiversità.

 (Elaborazione di G. Miggiano da Vita e Pensiero 2007 in Polemiche Culturali, pp. 126-131)

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