Elogio del luogo comune
Dalla Nutella alla società liquida: quando parole o teorie diventano così affermate da sembrare senza tempo. La lezione del “maestro gentile” Guido Calabresi, laureato honoris causa in Economia all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica.
Dobbiamo immaginare la scena nel momento in cui avviene e non col senno di poi: il signor Ferrero crea un prodotto che sarebbe divenuto famoso in tutto il mondo e chiama la sua “creatura” Nutella. Un nome proprio che sarà usato come sinonimo di qualsiasi crema da spalmare. Quel che si dice “un luogo comune”.
Basta spostarsi nel mondo della musica per citare un curioso aneddoto raccontato da Bepi De Marzi, autore di moltissimi canti di montagna così noti da sembrare senza tempo, come Signore delle cime, scritta per ricordare un alpinista morto in vetta e tradotta in nove lingue. È spesso scambiata per un vecchio canto della tradizione popolare, di autore, quindi, senz’altro defunto. La pensavano così anche due alpinisti che l’avevano appena cantata in un rifugio e non sapevano che il compositore era seduto proprio lì al tavolo accanto. Altro luogo comune.
In ambito “scientifico”, come non ricordare il successo di un aggettivo che il sociologo Zygmunt Bauman appose all’oggetto dei propri studi coniando la categoria di “società liquida”. Da allora tutto sembra essersi “sciolto”, anche a livello di identità. Liquido è diventato matrice (luogo comune?) del nostro tempo, anche se l’aggettivo adesso è espresso da parole più cool: a dicembre uscirà la traduzione italiana del commentario “queer” alla Bibbia. Un luogo comune “liquido”, si direbbe.
Anche la recente inaugurazione dell’anno accademico in Università Cattolica del 25 ottobre scorso ha mostrato il lato positivo di un’endiadi che, nel linguaggio quotidiano, assume di solito un significato negativo (per esempio in espressioni come “un concentrato di luoghi comuni”, o “essere vittima dei luoghi comuni”). Protagonista il professor Guido Calabresi, cui è stata conferita la laurea honoris causa dalla facoltà di Economia.
Una persona notevole con una storia incredibile: classe 1932, ebreo, figlio di Bianca Maria Finzi Contini (sì, quelli del romanzo!). Il padre Massimo, esponente di Giustizia e Libertà, è costretto a scappare in America con la famiglia per sfuggire alle leggi razziali fasciste. La vita ricomincia oltre oceano con l’umiliazione di essere italiani («Giusto un gradino sopra i neri»), ma lo porta a laurearsi a Yale e a divenire a soli 29 anni professore ordinario, il più giovane nella storia della Yale Law School. Occuperà, poi, il ruolo di preside fino al 1994, anno in cui Bill Clinton lo nominerà giudice di uno dei più importanti tribunali americani, la U.S. Court of Appeals for the Second Circuit. Molti suoi studenti oggi occupano posizioni di rilievo in tutto il mondo: giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti (quattro su nove); presidi delle principali facoltà di legge in America, Giappone, Israele, Italia e Germania, membri delle Corti Costituzionali/Supreme del Canada e della Germania.
Nel corso della sua lecture Calabresi – distinguendo in ambito giuridico il ruolo dei creatori del diritto, cioè coloro le cui decisioni determinano effetti immediati, da quello degli accademici, che, invece, «possono e devono scrivere quello che pensano sia vero per loro senza considerare le conseguenze delle loro affermazioni», evitando, però, la pretesa di pensare che le loro conclusioni siano subito applicate – ha aggiunto un curioso aneddoto personale: «Quando ho scritto i miei primi articoli scientifici sono rimasto intimorito dal fatto che siano stati accettati troppo presto. Il cambiamento deve avvenire “adagio”, con gradualità. Non mi ha spaventato, perciò, constatare che, molti anni dopo, quegli stessi scritti sono diventati luoghi comuni».
Un’affermazione che non è sfuggita al rettore Franco Anelli che, chiudendo la cerimonia e dichiarando aperto l’anno accademico, ha chiosato: «Non posso immaginare che cosa darebbero molte persone togate qui presenti affinché le loro tesi diventassero luoghi comuni».
L’espressione non è risultata stonata né, tantomeno, superba sulla bocca di un “maestro gentile” come il professor Calabresi, un uomo dal curriculum sterminato, che ha mietuto una messe di lauree honoris causa in giro per il mondo. E che pure, nella sua grandezza, ha saputo restare una persona perfettamente “comune”. Saranno cose dell’altro mondo, ma, forse, ci pare la lezione più grande che un maestro possa dare.