Impara l’arte e… mettila in collegio
Recitare, suonare, dipingere, creare: i collegi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ospitano ragazzi e ragazze che fanno dell’arte, in ogni sua declinazione, una ragione di vita, da condividere anche e soprattutto tra le mura delle residenze.
Nel 1965 Bartolomea “Mea” Tabanelli, direttrice del collegio Marianum, in sede di un convegno di studi sui collegi universitari sottolineò una caratteristica fondamentale e fondativa della missione educativa e autoeducativa dell’esperienza collegiale: «È soprattutto per questa ricchezza di vita in comune che il collegio costituisce un momento particolarmente intenso della vita universitaria e avvalora ogni espressione di ricerca, di raccoglimento, di discussione, di incontro». Mettere a frutto chi si è e cosa si ama fare: accanto al proprio quotidiano, i ragazzi e le ragazze che frequentano l’Università Cattolica possono condividere anche le proprie inclinazioni artistiche, portando all’interno delle mura collegiali passioni nate prima degli anni universitari e poi sviluppate, donate, messe a servizio del collegio, una “seconda famiglia” che a sua volta supporta e sostiene come può il talento di chi vive l’arte.
Annalisa, per esempio, si è avvicinata al teatro all’età di nove anni, grazie alla sezione Fernando Balestra dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico della Fondazione Inda, e da Siracusa ha portato la sua passione fino al colloquio sostenuto per l’ammissione al collegio Marianum e alla laurea triennale in Lettere moderne con curriculum Artistico teatrale. Annalisa racconta: «Il collegio mi ha aiutato a sostenere e alimentare la mia passione, in primis coinvolgendomi fin dai primi giorni in attività di intrattenimento con elementi teatrali, spettacoli di festa durante il periodo natalizio e durante le occasioni di attività intercollegiale verso la fine dei vari anni scolastici. Anche l’Università Cattolica mi ha dato la possibilità di prendere parte a occasioni in cui sono “salita sul palcoscenico”, da I giusti continuano a leggere di Vita e Pensiero agli spettacoli della compagnia “Ai due chiostri”».
Stare in collegio e potersi esprimere liberamente, che sia recitando o partecipando con la commissione Giornalino alla stesura di contributi per il Marianum Post, è qualcosa che per Annalisa si incastra alla perfezione: «Faccio teatro perché mi fa stare bene e mi aiuta, e in collegio ho trovato chi mi sostiene e mi comprende. In collegio ho trovato una dimensione nuova su misura per me, stando qui ho realizzato la mia speranza di poter raccontare una storia attraverso quello che faccio, permettendomi di essere chi voglio essere e di diventare chi voglio diventare».
Invece, prima del Paolo VI la “seconda casa” di Giulia è stata la scuola di danza del piccolo paese siciliano da cui proviene: ci passava ogni pomeriggio, appassionandosi prima alla danza contemporanea e moderna, poi all’hip hop, alla classica, al latinoamericano. «Grazie all’incoraggiamento e al sostegno dei miei maestri, ho potuto sperimentare tanto, e ho capito che la danza è tante cose diverse. La classica per esempio è disciplina, ricerca della linea e della forma, ma non solo: è anche consapevolezza e conoscenza del proprio corpo, è imparare ad apprezzarsi anche quando non è semplice farlo». A far veramente vibrare il cuore di ballerina di Giulia però è la danza moderna e contemporanea, quella «che mi dà la possibilità di sfogarmi quando ho una giornata “no”, di immedesimarmi nelle storie e nei personaggi che sto raccontando, nelle parole delle canzoni, nelle vesti di qualcuno che non sono io».
Da quando è arrivata a Milano per studiare Economia Giulia ha purtroppo dovuto accantonare la danza a livello accademico, ma la passione non se ne è andata entrando al Paolo VI, anzi: «Ci sono state delle volte in cui abbiamo organizzato all’interno del collegio spettacoli dove abbiamo portato in scena piccoli pezzi di ballo, coreografati da me e dalle altre collegiali con esperienza di danza. È stato bello mettersi in gioco e rinfrescare la mia passione per la danza, che manterrò per sempre. Ah, a Milano ho anche avuto la possibilità di realizzare un mio sogno di bambina: vedere I corsari alla Scala!».
Se ci spostiamo invece verso il collegio Ludovicianum, non sarebbe strano sentire qualcuno dei ragazzi ospiti della struttura fare musica, strimpellando qualche strumento in solitaria o improvvisando jam session nei pomeriggi liberi da lezioni ed esami. Luigi, per esempio, ha portato con sé la passione della musica da casa – la mamma è diplomata in canto lirico, il nonno era cantastorie in tempo di guerra, il padre accompagnava i musicisti del paese, in provincia di Ella, a fare le serenate – e quando può non perde occasione di suonare, cantare, ascoltare, comporre melodie «e a volte “rompere le scatole” ai miei compagni di collegio», racconta ridendo. Ma quando la musica fa parte della tua vita da quindici anni c’è poco da fare, e al Ludovicianum c’è terreno fertile per coltivare questa grande passione: «Per me la musica è l’antidepressivo che colma i vuoti. Siamo tanti, in collegio, a suonare e cantare, grazie anche agli strumenti che il collegio mette a disposizione per noi: una chitarra acustica, un basso, un pianoforte, addirittura un organo a canne. A volte ci troviamo per qualche serata karaoke anche intercollegiale. Fortunatamente c’è ancora chi apprezza la buona e vecchia musica come me. In collegio si parla molto di musica e di arte in generale: la si respira all’interno di questi luoghi, e le nostre camere diventano a volte dei piccoli quadri, nei corridoi si sentono accordi e sinfonie, e gli spettacolini buffi e leggeri che organizziamo noi e per noi ci mettono in gioco e ci fanno divertire».
Con Luigi, non appena riesce, suona Ruggero, originario di Agrigento, al secondo anno di collegio: «Quando sono arrivato a Milano», racconta, «ho deciso di portare con me il sax, strumento che non toccavo da quasi dieci anni. Ho sentito di voler portare con me questo pezzo di casa, e devo dire che la scelta è stata un successone, visto il ruolo che ha avuto durante gli spettacoli che organizziamo in collegio verso la fine dell’anno scolastico». Così Ruggero ha legato con i suoi compagni di collegio: «Grazie alla musica riesco a dimenticare tutto e a sfogarmi, e contemporaneamente sento di poter esprimere a tutti gli effetti la mia essenza, con la mia voce e il mio fiato». Ruggero non è il solo a vivere la passione per la musica e per gli strumenti a fiato: anche Francesco, al terzo anno di Economia e di collegio, ha sempre respirato musica in casa e, grazie agli input del padre, maestro laureato in conservatorio, ha desiderato continuare la sua arte, prima con studi di musica teorica e poi indirizzandosi verso lo strumento del clarinetto. «Sono poi entrato nella banda del mio paese, e così facendo ho potuto girare cerimonie e feste tradizionali in tutto il sud Italia, prima con il clarinetto e poi, per necessità della banda, con il sax baritono. Si tratta di uno strumento che non si vede molto in giro – sono più conosciuti i suoi “fratelli” soprano e tenore – e che però, a livello bandistico, è molto importante, perché assieme al basso tuba dà il tempo e riempie la melodia, facendo sentire piena la banda e amalgamando tutti i suoni». Arrivare a Milano per studiare non ha significato smettere di suonare nemmeno per Francesco: anche se non si è ancora esibito per il Ludovicianum, i suoi compagni di collegio lo possono andare a sentire nelle esibizioni saltuarie a cui partecipa con una banda di Milano. «La musica aiuta ad arrivare là dove le parole non arrivano», riassume con semplicità Francesco, «fa uscire il tuo carattere e la tua voglia di fare qualcosa al di fuori del comune. Riuscire a saper fare ciò che ti piace e saperlo esprimere è un messaggio molto forte per te e per gli altri.»
Infine, chi probabilmente prenderà alla lettera le parole di Luigi quando dice che «le nostre camere a volte diventano dei piccoli quadri» è Sebastiano: appena arrivato in Augustinianum ha appeso in stanza alcune tele bianche e ha comprato i colori. «Sto cercando di organizzarmi in questi primi mesi in collegio per capire come e dove dipingere in comodità e sicurezza», racconta il ragazzo, che a Parma ha un piccolo spazio di lavoro dove realizza da qualche anno le sue opere, arazzi molto grandi che gli hanno permesso di esprimersi e trasmettere messaggi e riflessioni sull’arte e sull’attualità. Alcuni dei suoi quadri, come Una Guernica per l’Afghanistan, Per chi suona la campana – Arazzo contro la guerra e Nel nome di Mahsa, sono stati anche esposti presso il Palazzo della Cultura di Parma, poi a Venezia, al Museo del Design di Milano, a Roma. Sebastiano non ha intenzione di accantonare la sua passione, anzi confida nel fervido ambiente artistico della capitale lombarda: «Dipingere mi dà la possibilità di esprimermi e raccontare qualcosa che mi ha stimolato e che sento il bisogno di esprimere nel mio piccolo, al di là del quotidiano che mi circonda». E chissà se presto qualcuno dei suoi arazzi non sarà dedicato al collegio Augustinianum…
[Si ringraziano per il prezioso contributo all’articolo le direzioni dei collegi e i collegiali che hanno voluto raccontare le loro esperienze, in particolare Francesco Falletta, Luigi Faraci, Sebastiano Furlotti, Annalisa Gurrieri, Ruggero Massinelli, Giulia Metoldo. La foto a corredo, uno scatto della rappresentazione teatrale Un luogo libero cent’anni, è di Annalisa Gurrieri.]