Mezzi e contesti della comunicazione, in una stretta di mano
Scrivere una mail, ma anche telefonare o stringere la mano permettono di stabilire una relazione più o meno profonda che, a seconda dei contesti, può fare la differenza tra ottenere un risultato e non ottenerlo.
Una scena vista più volte: persone che alla fine di una riunione si stringono la mano, a suggellare un accordo cui non necessariamente seguirà lettera scritta.
È la conclusione classica, almeno nel nostro Occidente, di quel processo comunicativo che è una trattativa più o meno esplicita, e che si basa sulla fiducia reciproca e sulla reputazione di ciascuno dei contraenti, cioè sul credito che a quella stretta di mano verrà dato un seguito come per una promessa.
Si conclude con un gesto antico, lo stringersi la mano, che qualcuno vorrebbe medievale, trattandosi dell’unica parte del corpo che i cavalieri bardati d’elmo e corazza potevano esporre più facilmente.
Se il patto si rompe, si è già detto altrove, il danno reputazionale è spesso senza rimedio; la forza del vincolo è data dal fatto che una riunione, anche se conoscitiva, è essa stessa un mezzo di comunicazione; serve innanzitutto a costruire fiducia, che come noto è un fattore critico del business in molti paesi del mondo.
Certo, molto conta il contesto. Si capisce bene soprattutto nelle multinazionali, dove il panorama culturale finisce per cambiare, insieme a quello geografico, profondamente a seconda dell’area nella quale ci si muove.
In alcune zone del mondo per chiudere un accordo è sufficiente una mail, in altre senza wasta – concetto da alcuni deprecato, ma essenziale, soprattutto in alcune zone del medioriente: in arabo suona un po’ come le «connessioni che creano preferenze», cioè le «conoscenze comuni» che in qualche modo sono garanzia della nostra reputazione – non si va da nessuna parte.
Ma una corretta interpretazione del contesto funziona bene anche – spessissimo – tra culture apparentemente uguali o analoghe, di cui peraltro è più difficile valutare lo «scarto culturale», cioè quella differenza di modi e sentire che non si vede, ma con la quale ciascuno affronta il proprio lavoro e il proprio modo di concedere e ricevere fiducia.
In questi casi, valutare correttamente il contesto e il mezzo di comunicazione può fare la differenza tra ottenere un risultato o non ottenerlo.
Qualcuno dice che si tratta soprattutto della differenza tra culture incentrate «sui compiti» e culture incentrate «sulle relazioni»: la «fiducia cognitiva», legata alle prime, si basa sul credito che i risultati, l’abilità e l’affidabilità di una persona le danno. È soprattutto costruita attraverso relazioni professionali. L’altra è invece alla base della «fiducia affettiva», che scaturisce da sentimenti di vicinanza emotiva, empatia o amicizia. Sembra più bella, ma non è detto che sia più efficace.
Al di là del giudizio di valore, tuttavia, entrambe richiedono uno sforzo nella scelta del mezzo di comunicazione più adatto, soprattutto se la costruzione del rapporto di fiducia deve avvenire a (più o meno lunga) distanza.
Molti di noi inviano una mail o usano il telefono senza darsi molto pensiero per i risvolti culturali (spessa senza darsi pensiero affatto, in verità). Ma selezionare il mezzo più efficiente, anche in base alla preferenza personale, cioè alla propria cultura, può fare la differenza tra una risposta leggera o un impegno formale: se lavoriamo in un contesto incentrato sui compiti – è il caso di molti di noi, in Europa, a diverse latitudini – una mail può aiutarci a formalizzare meglio i pensieri e la scaletta delle azioni necessarie, oltre che a tenerne traccia. Quando invece ci si trova a lavorare con persone provenienti da una cultura incentrata sulle relazioni – e spesso sulla memoria orale; è il caso ad esempio di molte culture del sud del mondo –, un mezzo di comunicazione che sia il più possibile «relazionale» può essere un buon inizio. In quel caso, ad esempio, invece di una mail, valutiamo lo sforzo di utilizzare il telefono o meglio ancora un incontro di persona, se possibile. Una volta costruito un buon rapporto di fiducia, sarà possibile passare a un mezzo di comunicazione più incentrato sui compiti.
Al contrario, se nelle culture incentrate sulle relazioni le persone spesso non rispondono alle email di qualcuno con cui non hanno una relazione pregressa, in culture incentrate sui compiti è abbastanza normale, e anzi è un’attesa piuttosto comune, inviare e ricevere messaggi di posta elettronica per stabilire un contatto con persone che non abbiamo mai incontrato.
Adeguarsi allo stile del nostro interlocutore nell’uso del mezzo di comunicazione può far sì che vi siano maggiori probabilità di una risposta positiva; ovviamente senza snaturare il proprio, di stile, o quello dell’azienda cui si appartiene.
Scegliere il mezzo di comunicazione – telefono, posta elettronica, messaggio whatsapp o wasta – è insomma un elemento importante nel costruire una relazione professionale serena, oltre che stabile. Vanno bene tutti, in verità; ma soprattutto, ricordiamoci sempre che come per il «ciao» (un saluto molto impegnativo, che come tutti sanno dichiara di esser pronti a mettersi «al servizio», o meglio ancora «farsi schiavi», di qualcun altro), anche la stretta di mano è un gesto molto impegnativo che, come ricorda Josep Maria Esquirol, implica sempre un’«intenzione profonda», soprattutto in certi contesti: se non siamo certi di poter mantenere ciò che abbiamo promesso, limitiamoci a un inchino, o a un saluto che ci impegni di meno, ma sia soprattutto più onesto.