Salute

Dolcificanti o edulcoranti?

La rubrica dedicata alla nutrizione a cura del professor Miggiano riparte nel 2024 con un approfondimento dedicato ai dolcificanti, al loro utilizzo e alle loro diverse origini.

I dolcificanti (o edulcoranti) sono sostanze usate per conferire un sapore dolce agli alimenti e/o alle bevande.
In base alla loro origine, vengono suddivisi in: dolcificanti naturali (detti anche nutritivi o calorici), composti estratti dalle piante e dotati in genere di contenuto calorico, e dolcificanti artificiali (detti anche non-nutritivi, acalorici o intensivi), sostanze ottenute per sintesi chimica, con potere nutritivo minimo o assente.
Caratteristica importante è il loro potere dolcificante, cioè la loro capacità addolcente. Per convenzione viene attribuito al saccarosio un potere dolcificante pari a 1, e il potere dolcificante delle diverse sostanze è espresso come rapporto tra la concentrazione di una soluzione di saccarosio e quella di una soluzione del dolcificante che ha la stessa intensità di dolcezza.
Per esempio, una soluzione di saccarosio ha lo stesso grado di dolcezza di una soluzione di saccarina, la cui concentrazione è 300 volte inferiore; dunque, la saccarina ha un potere dolcificante pari a 300.

I dolcificanti a seconda dell’origine si distinguono in:

Dolcificanti naturali derivati dagli zuccheri (glucosio, saccarosio, fruttosio). Tra questi il fruttosio è lo zucchero maggiormente utilizzato, in quanto ha un potere dolcificante superiore al saccarosio, ma un indice glicemico molto più basso. Il fruttosio si ottiene industrialmente attraverso l’isomerizzazione di composti glucidici contenenti principalmente glucosio con costi molto contenuti. Viene assorbito dagli enterociti per diffusione facilitata e non necessita dell’azione dell’insulina per essere trasportato all’interno della cellula e metabolizzato, e per questa ragione è stato utilizzato come dolcificante nei pazienti diabetici. Il fruttosio, se ingerito in quantità tale da superare la capacità di trasporto intestinale può causare disturbi, quali gonfiore, dolori addominali e diarrea;

Dolcificanti derivati da carboidrati complessi o glicosidi, quali lo stevioside, un composto estratto dalle foglie di una pianta originaria del Centro America, con un  potere edulcorante 200-300 volte superiore al saccarosio, molto stabile, ma con retrogusto amaro ad elevate concentrazioni. Idrolizzato dalla flora batterica intestinale (steviolo), viene coniugato nel fegato con l’acido glucuronico ed escreto con l’urina; poiché non è metabolizzato è l’unico dolcificante naturale acalorico;

Dolcificanti derivati da polialcoli (come sorbitolo, xilitolo, maltitolo, mannitolo, isomalto ecc), hanno un contenuto calorico circa dimezzato rispetto al saccarosio, ma anche un più basso potere edulcorante. Essi vengono metabolizzati solo parzialmente, mentre una buona quota viene fermentata dalla microflora colica con produzione di acidi grassi a corta catena e gas. Se da un lato l’assorbimento parziale dei polialcoli ne riduce il valore calorico, la riposta glicemica e insulinemica, dall’altro esso è causa di effetti gastrointestinali sfavorevoli quali meteorismo, flatulenza e, soprattutto, diarrea e per questo si raccomanda di non superare i 20 g al giorno.
Al contrario, i polioli risultano poco fermentabili dai batteri del cavo orale e non determinano la produzione di quegli acidi (piruvico e acetico) responsabili della carie dentaria;

Dolcificanti derivati da proteine (come  taumatina, miraculina, monellina). Le proteine dolcificanti vengono estratte da alcuni frutti e piante tropicali ma, recentemente, sono state prodotte anche attraverso tecniche di bioingegneria genetica. Esse possiedono un potere edulcorante da 500 a 3000 volte superiore a quello del saccarosio. Dei composti disponibili, solo la taumatina è stata approvata dalle agenzie regolatorie per il consumo nell’uomo.

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