Il 25 aprile come libertà della vita
Il 25 aprile 2024 sarà il 79° anniversario della data scelta per ricordare la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Una data che ci ricorda la fine della violenza di stato e l’inizio delle libertà garantite dalla Costituzione.
Il 25 aprile può essere un giorno carico di potenza e di possibilità se permettiamo che esso ci ricordi che la storia, con i suoi orrori e le sue terribili ingiustizie, può anche andare per il verso giusto. Per una volta, infatti, in quel 25 aprile del 1945, nel mezzo della terribilità della guerra, hanno perso i soprusi, le mancate libertà, le sopraffazioni legalizzate e ci si è diretti verso una luminosa costruzione, quella della Costituzione italiana; in quel giorno ha perso la morte di stato e ha vinto la libertà e dunque la vita. Perché questo potesse accadere, hanno combattuto uomini e donne, delle realtà sociali e culturali più diverse che sono stati costretti, in preda allo smarrimento e all’angoscia, a scegliere per cosa combattere.
Sono tantissimi i saggi, gli articoli, i documentari, le ricerche, il materiale audio-visivo che si dedicano allo studio della Resistenza; un patrimonio scientifico ricchissimo ed accurato custodito dall’impegno della comunità accademica e scientifica. Ci sono anche parole meno curate, più sciatte che non sono l’esito di anni di studio ma che sono frutto dell’esperienza concreta di quei momenti di resistenza. Sono le tante lettere dei condannati a morte della resistenza che custodiscono il coraggio, la vitalità e l’amore di quei momenti e che per la prima volta furono raccolte nel 1952 in un volume curato da Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli, con prefazione di Enzo Enriques Agnoletti, per la casa editrice Einaudi. Lettere o messaggi di 112 partigiani e patrioti della Resistenza italiana, giustiziati da plotoni d’esecuzione oppure uccisi dopo esser stati torturati.
Leggiamo le parole di Achille Barilatti, 22 anni, fucilato nel marzo 1944 che scrive alla «sua mamma adorata» quando sente che il momento della fucilazione è vicino, la rassicura, «ci rivedremo nella gloria celeste», le raccomanda di non piangere perché l’Italia sarà di nuovo grande. Ci immaginiamo Bruno Frittaion, 19 anni, fucilato nel febbraio del 1945, scrivere alla sua amata Edda: il destino li separerà, dice, ma lui è certo di aver combattuto per «vedere fiorire l’idea che ha servito sempre fedelmente». Gino Genre scrive ai genitori e si rivolge alla madre: «Addio, e non dire niente a Aldo. Addio, addio in cielo»; Rennato Peyrot scrive invece alla sorella: «ci rivedremo un giorno in cielo […]. Addio, Lilj carissima, arrivederci». Riccardo Balmas, prima di morire, saluta tutta la sua famiglia: «Vi mando i miei ultimi saluti e baci, tanti bacioni a te mamma, baci a voi cari fratelli Carlo, Anselmo, bruno, baci alle mie care sorelle Angelica, Ernestina, Luigia e Luigi. Vostro fratello Arturo. Ciao»
Rileggere le lettere ogni anno, sull’onda, perché no, della ricorrenza della Festa della Liberazione, è accostare l’orecchio ad un coro di voci instancabili. Thomas Mann, nella prefazione alle Lettere di condannati a morte della Resistenza europea, accostò il volume ad un’opera letteraria: la lettura di quelle parole poteva far in modo che quell’esperienza divenisse anche nostra. Leggere queste ultime testimonianze, sempre, per tutta la vita, in una giornata così importante come il 25 aprile permette che la memoria si faccia fondamento civile e di condivisione.
Nelle lettere si accumulano gesti verbali di addio, formule di saluto ripetute e drammatiche, una messe di ciao, di arrivederci; tra le righe sentiamo lo schiocco dei baci, la stretta degli abbracci, crediamo nella speranza di vedersi in cielo ed essere di nuovo insieme. Le lettere custodiscono parole-gesto, parole che salutano, parole che fungono da commiato per tutte quelle esistenze che hanno permesso che la Storia andasse per il verso giusto, un verso di cui è meglio non perdere mai la traccia.