Un passo alla volta. Il cammino dell’anima
Per raggiungere qualsiasi obiettivo ci vuole un “metodo”: non a caso questa parola racchiude nella sua etimologia l’idea della strada, del cammino da percorrere. Che sia spirituale o fisico, il cammino è un processo di cambiamento e di conoscenza, al centro della riflessione degli autori di tutto il mondo e di tutte le epoche, da Virgilio a Saramago, da Sant’Agostino a Bruce Chatwin.
“Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino
per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus,
e conversavano di tutto quello che era accaduto”
(Lc 24, 13-14)
Nel 1863, pubblicato postumo, esce un libro dal titolo Walking. L’autore è Henry David Thoureau, nato a Concord, Massachusetts, nel 1817. Filosofo, scrittore, protagonista del “rinascimento americano”, amico del suo concittadino Raphael Waldo Emerson; uno dei pensatori più influenti del suo secolo.
Prima di Camminare, Thoreau ha pubblicato due libri: Disobbedienza civile nel 1849 e Walden nel 1854 che, insieme, rappresentano la sua visione di un cittadino attivo nella società e profondamente connesso con la natura. Con la natura intesa come paesaggio fisico e paesaggio interiore. Walking è un saggio breve, un inno alla libertà dell’uomo, e al camminare come itinerario spirituale interiore, un cammino dell’anima: “Ma il camminare di cui parlo non ha nulla a che vedere con l’esercizio fisico propriamente (…) è, il camminare di cui parlo, l’impresa stessa, l’avventura della giornata. Se volete fare esercizio, andate in cerca delle sorgenti della vita”.
Da allora, da sempre, i temi del viaggio spirituale segnano molte delle epoche, sia individuali sia sociali – particolarmente quelle di crisi, in senso etimologico – in cui il cammino mentale si ferma per riscoprire il senso di se stesso.
Camminano i pellegrini fino a Santiago de Compostela, per ritrovarsi e ritrovare qualcosa o Qualcuno; cammina chi torna da un viaggio iniziando a rielaborare le esperienze per farne una storia; cammina chi viaggia con i sensi del pensiero perché non può altrimenti; cammina, insieme, la Chiesa tornando da Emmaus verso tutte le città.
“Sotto un larice – scrive Mario Rigoni Stern ne Le stagioni di Giacomo – “cerca anche tu un luogo dove accucciarti per meditare sulle stagioni della tua esistenza che corre via con i ricordi che diventano preghiera per la vita che hai avuto e per i doni che la natura ti elargisce”: cammina chi si ferma, perché camminare è complementare al pensare, nel “Solvitur ambulando” di Sant’Agostino.
Hanno camminato Ulisse per tornare, Virgilio per cantare, Marco Polo per unire, Cristoforo Colombo per scoprire, Bruce Chatwin per ritrovare, Johann Wolfgang von Goethe per meravigliarsi.
Hanno camminato per scrivere e scritto del cammino, ben sapendo, come ricorda José de Sousa Saramago, che “quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: Non c’è altro da vedere, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro”. E Claudio Magris ne L’infinito viaggiare: “Ma quando viaggiavo nei vasti paesi danubiani o nei periferici microcosmi, avviandomi in una certa direzione, sempre disponibile a digressioni, soste e deviazioni improvvise, vivevo persuaso, come davanti al mare; vivevo immerso nel presente, in quella sospensione del tempo che si verifica quando ci si abbandona al suo scorrere lieve e a ciò che reca la vita – come una bottiglia aperta sott’acqua e riempita del fluire delle cose, diceva Goethe viaggiando in Italia”.
Ora si chiama travel writing, mindful walking, ora il movimento è una metafora esperienziale anche per la vita aziendale e personale, ora ciò che Raffaello dipinse ne La Scuola di Atene, con il peripato¸ il giardino del Liceo, dove molte delle discussioni fra Aristotele e i discepoli si svolgevano in movimento, si rivive come didattica moderna e modello innovativo.
Quello che non cambia è il bisogno: di non fermarsi, di non percorrere le vie conosciute, di sentire e creare novità, di trovare un pensiero nuovo: mettersi in cammino è, appunto, la via. A volte è faticoso, di certo impegnativo, perché le scoperte interiori possono essere sfidanti.
Ma la ricerca vale il viaggio dentro noi stessi: “Non so mai molto bene dove mi porterà una strada né se mi porterà da qualche parte– così Pierre Sansot nelle sue Passeggiate – “In compenso, so con certezza da cosa mi distoglierà: da un assopimento che non è forma di saggezza, dalla rassegnazione, dal ripiegamento su di me; e nella solitudine che talvolta accompagna il mio andare non vi è nulla di amaro, perché mi restituisce a quanto di grave e di dolce vi è in me, e che resta la mia guida”.
Camminare, possibilmente su strade non battute, aprendo nuovi spazi, dando aria a quelli conosciuti e seguendo Robert Frost:
“Two roads diverged in a wood,
and I—I took the one less traveled by,
And that has made all the difference”.
Un passo (e un giorno) alla volta.