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La dignità del chiacchiericcio

Un venticello che s’alza e può diventare più forte di un mistral, e provocare più malumore di un meltemi: è il passaparola, che può rivelarsi uno strumento potente di comunicazione ma va governato con consapevolezza e una certa prudenza.

Prima della pandemia che ha segnato gli anni venti di questo secolo, nell’ambito della comunicazione era già in atto un contagio. Così sostiene Riccardo Fedriga, in un articolo di qualche anno fa comparso sulla Rivista italiana di Comunicazione Pubblica: forse la parola è un po’ forte, ma si tratta di un contagio in verità diffuso più o meno da sempre ma non (sempre) nocivo; ricerche condotte da varie società specializzate hanno ampiamente dimostrato infatti, ormai da qualche anno, come il passaparola costituisca una delle leve di convinzione più potenti per decretare il successo di un prodotto o di un servizio.

Le raccomandazioni di persone, soprattutto se conosciute, sono ritenute una fonte maggiormente affidabile per avere fiducia in un prodotto, e dunque per acquistarlo. Qualche anno fa la Nielsen stimava all’80% circa la percentuale di utenti disposta a fidarsi dell’opinione dei conoscenti al momento dell’acquisto di un bene o di un servizio.
Al di là dei numeri, lo strumento è effettivamente potente e immediatamente misurabile per i pubblici e i prodotti di nicchia, ma può subire un effetto moltiplicatore interessante quando diventa virtuale: in campo librario ne sono esempi significativi alcuni successi editoriali basati ancora oggi sul passaparola e sfuggiti, in qualche modo, allo stesso controllo degli editori o dei distributori anche grazie, in alcuni casi, al fattore moltiplicatore della rete. I casi, anche recenti, sono più numerosi di quanto si penserebbe: dal bel volume di Gian Marco Griffi sulle Ferrovie del Messico – che con il Messico non ha a che fare, e che da poco più di 150 copie nel 2023 è arrivato alla selezione per lo Strega – fino al fenomeno Erin Doom, il cui Fabbricante di lacrime, nato sulla piattaforma Wattpad, è stato il libro più venduto in Italia nel 2022; ma fa una certa sensazione anche pensare che l’Ulisse di Joyce sia tornato qualche anno fa in testa alle classifiche di vendita grazie agli equivoci generati dai booktoker, cioè dai ragazzi che su Tiktok costruiscono contenuti promozionali sui libri che leggono.

Il fenomeno è antico: dal Medioevo abbiamo persino ereditato alcuni curiosi espedienti acustici che permettevano, in una piazza affollata, di diffondere voci senza essere individuati, in modo che il passaparola fosse da subito vox populi e nascesse già moltiplicato, per quella strana tendenza a dar credito alle conversazioni ascoltate per caso: provate il giochino del sussurrare tra le colonne in Piazza dei Mercanti, a Milano; ma lo stesso accade sotto il voltone del Podestà a Bologna e in altre piazze d’Italia e addirittura, senza dubbio per un vezzo molto più di recente, alla «Galleria dei sussurri», la «Whispering gallery» della Grand Central Station di New York.
Localmente ha a che fare con la pausa caffè, in ambito lavorativo con il fermarsi a chiacchierare con i colleghi o anche soltanto con lo scambiarsi opinioni mentre si svolge la routine d’ufficio; dal punto di vista virtuale coinvolge un pubblico potenzialmente molto più ampio, disposto a dare fiducia a una affermazione, all’opinione di un «ambasciatore» (o «ambassador», che non cambia molto ma impressiona di più) o di un influencer, ed è in grado di fare la differenza tra il successo di un’iniziativa o di un evento e il suo fallimento.
Vale, dal punto di vista del marketing, anche per le testimonianze degli utenti o per le recensioni – più o meno vere — dei clienti, cui comunque si tende a dare credibilità, seppure in percentuali meno significative di quelle che coinvolgono un rapporto personale.
In tutti i casi si tratta di quella «rete» di relazioni, per lo più molto superficiali, che ciascuno di noi intrattiene con altre persone più o meno note, anche soltanto nel momento in cui sfoglia dei contenuti su Instagram, su Facebook o su TikTok.

Governare questo tipo di comunicazione può essere uno strumento prezioso, a diversi livelli, per gestire la diffusione delle notizie, per promuovere iniziative, servizi e prodotti; dal 2004 in USA esiste persino un’Associazione finalizzata a incentivarla: è la WOMMA (Word Of Mouth Marketing Association), che se la racconta molto in termini di convincimento e innovazione (e non potrebbe essere altrimenti, a ben pensarci), ma che dà un’idea delle dimensioni del fenomeno.

Fare in modo che le chiacchiere siano costruttive, che le notizie – almeno quelle che è lecito siano raccontate in un’azienda – acquistino diffusione innanzitutto tra il pubblico interno e creino consapevolezza nell’organizzazione può essere un’attività molto intensa, produttiva e soddisfacente.
Ma non dimentichiamo mai che la gestione può essere molto complessa, perché ha a che fare con l’interpretazione del destinatario e con il fatto che la qualità del messaggio decade inevitabilmente con il moltiplicarsi degli intermediari.
La linea del limite tra valore positivo e vento che si disperde nell’aria è davvero molto sottile: un messaggio che vorremmo vantaggioso può tornarci indietro del tutto distorto, e una notizia fondata può trasformarsi rapidamente persino in una calunnia; un’affermazione irriflessa può trasformare persino uno scherzo o una curiosità in un evento dannoso per tutta l’azienda.
È per questo motivo che si tende a pensare che questo tipo di comunicazione debba essere semplice e breve (molto semplice e molto breve, sin dall’emittente), per ridurre le possibilità di fraintendimento: ma, stiamone certi, la sua articolazione crescerà in ogni caso con l’andare del chiacchiericcio, a volte diventando tutt’altro.

Pare un’aporia senza soluzione, tra utilizzarla e no. Tanto più che anche il papa, in un Angelus di qualche tempo fa, ha ricordato come il chiacchiericcio possa essere peggio del Covid. Si riferiva al pettegolezzo, che in fondo è un’applicazione particolare del passaparola.
Qualcosa, però è possibile fare: innanzitutto mettendoci sempre anche dall’altra parte, e pensando a quelle volte in cui siamo stati intermediari leggeri di un’affermazione, in cui senza riflettere abbiamo alimentato il venticello leggero della fama, o a quando ne siamo stati, qualche volta, persino vittime inconsapevoli.
Riflettendo su ciò che diciamo, costruendo la nostra credibilità con affermazioni fondate, generando contenuti affidabili e non approssimativi possiamo essere i primi motori di un chiacchiericcio propositivo, che nel diffondersi non perda la sua dignità e ci ritorni, alla fine, favorevolmente moltiplicato.

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