Stare svegli fino all’alba
L’estate ci permette anche questo. Ancor di più oggi, con il grande caldo che proviene da sud, stare svegli fino all’alba ci fa scoprire i colori della prima luce del giorno e i suoi istanti più puri e più freddi.
«L’alba vinceva l’ora mattutina / che fuggìa innanzi, sì che di lontano / conobbi il tremolar della marina». Dante e Virgilio, dopo la notte infernale, intraprendono un nuovo grande cammino alla volta del Purgatorio: il «gran veglio solo», Catone l’Uticense, gli ha indicato la via e l’aria è pura e finissima fino all’orizzonte, ha il colore dello zaffiro orientale e restituisce il diletto perduto ai loro occhi.
È l’alba, è la gioia impossibile di essere tornati dal mondo dei dannati e di avere ancora occhi per colmarli di luce, ma è anche la felicità assoluta di vivere quegli istanti indeterminati che corrispondono al passaggio tra la notte e il giorno. In quel tempo il chiarore del mattino si manifesta discreto, quasi con timidezza, per poi avvolgere tutte le cose che esistono.
Nell’osservare la parte di mondo che ci è concessa, quasi non ci si raccapezza. Come ha scritto Grazia Deledda «l’alba riporta l’illusione della gioia nel cuore dei viventi» e lo fa attraverso i colori. Di tutte le sfumature del blu se il cielo è sereno, ed ecco l’ora blu, del rosa, dell’arancio, del giallo, del dorato se dalla terra sale la nebbia o se lassù trascorrono le nuvole, ed ecco allora l’ora d’oro, amate da pittori, fotografi, scrittori, artisti di ogni genere o solo da pensatori o da coppie di amanti. Nelle parole di Torquato Tasso, il caledoscopio dei colori: «Ecco già l’alba appare, / e si specchia nel mare, / e rasserena il cielo: / e le campagne imperla, e ’l dolce gelo, / e gli alti monti indora».
Se sulla Terra non ci fosse l’atmosfera questa fase vorticosa eppure statica durerebbe un attimo, ma la rifrazione e la diffusione dei raggi prima dell’apparizione del sole illuminano già l’orizzonte per un tempo più lungo. È il crepuscolo del mattino, la luce bianca che preannuncia la levata del sole.
Nel Medioevo, in ambito occitano e poi in Germania e nella Francia settentrionale, si sviluppò un sottogenere di poesia lirica che dipingeva questi momenti fuggitivi attraverso i baci dell’amore. Gli amanti clandestini, dopo aver trascorso la notte assieme, devono separarsi per il terrore di essere scoperti e uccisi dal marito della compagna o dai rivali gelosi. Ad aiutarli, una scolta che li avverte del pericolo e un usignolo o un’allodola che con il loro canto dicono del giorno che riparte.
Giulietta sente che l’allodola ha cantato e Romeo deve abbandonarla. Così secoli prima Giraut de Borneil nell’alba più famosa pervenutaci assieme alla melodia, scriveva: «Bel compagno, io vi chiamo cantando; \ non dormite più, perché odo cantare \ l’uccello che va cercando il giorno \ nella boscaglia, e ho paura che il \ geloso vi assalga, e presto sarà l’alba».
Quando l’usignolo canta, ci si lascia. Ma per lasciarsi, prima ci si deve essere trovati. E allora via, andiamo anche noi ad aspettare l’alba, sperando che nessuna sentinella interrompa l’amore illuminato dal primo raggio di sole.