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Una gita d’estate

Al bordo della città si parte prima che sia mattina, si gira e si arriva, in un viaggio che è poco più che intorno a una stanza ma che ha il sapore – come tutti i viaggi cui si apre il cuore – di mille scoperte.

In città è l’ora in cui il silenzio si fa più intenso, e se apri la finestra finalmente fa quasi fresco, in un’estate che ha tardato ad arrivare e infine è scoppiata, provocando fughe. Il giorno nuovo non si scorge ancora, ma sugli alberi di cortile che calano sofferenti in strada gli scoiattoli ruzzano già tra loro, e se ti fermi ad ascoltare puoi cogliere i primi uccelli che salutano la luce che verrà.
È il momento di indossare le scarpe pronte vicino all’ingresso, raccogliere lo zaino, aprire la porta e andare.

La strada è già una scoperta in sé: nelle mattine d’estate è vuota, ed è facile da percorrere; tra lavori sospesi e cantieri minacciosi si stringe e s’allarga sotto le torri di calcestruzzo bianco e azzurro. Passa sull’acqua tra cemento e pietra – dei canottieri già s’allenano, filando le scie nella corrente che li insegue – dopo un arco affrescato d’arte che parla d’arte, murales destinati a raccontare una storia che sparirà, e ancora oltre una piccola chiesa di mattoni rossi: questa, gli storici (o gli architetti) direbbero che in realtà è composta da due differenti, affiancate e sorte in momenti diversi, dense di storia, in uno snodo strategico tra le vie d’acqua e di terra; ma il dettaglio è prosaico, alle mura si possono appoggiare le mani e sporgendo il collo oltre la cancellata si può guardare al piccolo cimitero che custodisce antiche spoglie, e sa di pace. A quell’ora è chiusa; è intitolata al santo dei pellegrini viandanti, gigante come una montagna, forte come un elefante, buono e semplice come un bambino, che una preghiera e un saluto sembra richiederli, e che gli si rivolgono con un sorriso.

Ai bordi della città si corre, già la polvere in nuvole sale qua e là; fa chiaro verso l’orizzonte invisibile, tra un palazzo e l’altro, dove la centrale elettrica lascia scoperto il cielo blu e vuoto – non ci sono più stelle, non ci sono più nuvole – tra i cavi che friggono.

Si avanza, costeggiando il verde di allori e oleandri che fanno siepe e foresta di periferia; l’andare a piedi segue «la vocazione di perdersi», senza orientarsi troppo, fermandosi a tendere l’occhio agli scarabei dorati – sono arrivati dal Giappone a divorare le foglie morbide delle viti in campagna, ma anche l’erba dei prati e gli alberi da giardino, in qualche modo anche il loro è un viaggio di scoperta – che col caldo stendono le loro ali a fatica.
Lo sguardo s’alza ai solitari che s’affacciano ai balconi grigi dei residence di una notte; viaggiatori anche loro, qualcuno fa gli esercizi della salute, in mutande e pancetta, qualcun altro alza la mano in un saluto cui si risponde, tra persone in cammino ci si riconosce, ci si augura la buona giornata sui sentieri della città.

Il paesaggio si apre, nello srotolarsi più aperto di una strada che se ne va diritta tra i campi pronti al raccolto; lontano si scorge l’affastellarsi dei piani, degli archi e delle colonne che reggono il tiburio della torre di un’antica abbazia che apre le porte a chi arriva, primo segnale di casa, e che per chi s’allontana, anche ogni giorno, è un arrivederci.
Basta poco e si arriva, l’abbazia è un borgo fuori dal tempo, la torre è ferma e – con le parole di un altro gran viaggiatore – proprio «questo è il suo viaggio»; l’uomo le si muove intorno, e il suo affanno «sfiora la superficie della quiete» che la abita, il suo «sguardo non turba il cielo e penetra l’eternità».

Alla fine, è poco più che un voyage autour de la chambre: come nel romanzo di Xavier de Maistre non ci si è mossi affatto ma si è scoperto molto.
Oltre si esce fuori dalla Contea, si va all’aperto, al di là delle mappe. Come nella canzone di Bilbo Baggins, che al centoundicesimo compleanno abbandona la casa sicura e si mette in cammino, «la Via prosegue senza fine, lungi dall’uscio dal quale parte. Adesso è fuggita avanti, e io devo seguirla finché posso… E dove andrò dopo? Non so dirlo» (The Road goes ever on and on / Down from the door where it began. / Now far ahead the Road has gone, / And I must follow, if I can, / Pursuing it with weary feet, / Until it joins some larger way, / Where many paths and errands meet. / And whither then? I cannot say).
La strada è lì, basta seguirla.

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