Nella scuola dell’anima
«Una vera scuola è un luogo in cui si allena l’attenzione alle cose del mondo e agli altri» scrive Josep Maria Esquirol, il filosofo della prossimità, nel suo ultimo lavoro, La scuola dell’anima. Dalla forma dell’educare alla maniera di vivere uscito per Vita e Pensiero e presentato a BookCity Milano domenica 17 novembre. Un evento da non perdere.
Docente di Filosofia all’Università di Barcellona, dove dirige anche «Aporia», gruppo di ricerca sulla filosofia contemporanea, l’etica e la politica, Josep Maria Esquirol aveva dedicato un libro importante, La resistenza intima. Saggio su una filosofia della prossimità (2018), alla capacità umana di resistere, intendendola come modo di opporsi agli ostacoli e al freddo non solo climatico della vita sviluppando la propria forza nello spazio esperienziale degli affetti. Una resistenza morale, che guida proteggendo dalla notte cupa, mostra la bellezza delle cose vicine, e conforta.
Perseguendo gli ideali della sua ricerca filosofica, Esquirol con La scuola dell’anima, numero 8 della collana Transizioni tradotto dal catalano da Stefania Maria Ciminelli, costruisce in dieci capitoli titolati come delle moderne beatitudini evangeliche (cito solo i primi tre, Beati quelli che vanno a scuola, perché ne oltrepasseranno la soglia, Beati quelli che trovano bravi maestri, perché se ne ricorderanno, Beati quelli che vanno contro il destino, perché sono già origine…) una riflessione sull’uomo e il mondo, contro il narcisismo e il solipsismo di questi nostri tempi disorientati e confusi.
L’intento chiaro già dalla dedica, a «tutte le maestre e a tutti i maestri, molti dei quali non hanno saputo neanche di esserlo», è rivelare l’importanza di chi si prende cura dell’infinito che ci attraversa, anche inconsapevolmente. Come se, in una metafora, fossimo tutti piccole verticalità che restano in piedi l’una grazie all’altra nel calore della prossimità e della non-indifferenza, riuscendo a trovare la maniera di generare legami e senso. Giocando con le parole, la ridondanza, i parallelismi e le opposizioni radicali, Esquirol modella dei tipi antifrastici, come la persona macchinatrice e la persona riflessiva: la prima discorre nel senso non problematico del funzionamento e l’efficacia, l’altra, invece, rimane nella chiarezza e non dimentica mai le intemperie. Resiste, perché così come il bambino vuole che gli si legga ancora una volta una storia, l’adulto vuole che il sole sorga ancora.
Secondo Esquirol, il ruolo fondamentale nel coltivare l’attitudine personale alla resistenza e al sostegno nel proprio cammino verso una vita matura e feconda lo ha la scuola, intesa non solo come istituzione (non esente affatto da critiche) ma come spazio dedicato all’insegnare e all’educare nel senso originario di indicare, mostrare e aiutare qualcuno a trovare in sé risorse e modi. È questa la ‘scuola dell’anima’, un’educazione alla cura che può esercitarsi nel luogo concreto di un edificio scolastico, ma che può anche durare tutta la vita, con la porta aperta per tutti e per ogni età.
«L’ultimo giorno di scuola, alla scuola dell’anima, non si rilasciano diplomi, né si distribuiscono sondaggi sulla soddisfazione degli alunni. Ci sono sorrisi, perché la serietà della preghiera e della meditazione non è incompatibile con l’amabilità e l’allegria. E i sorrisi dell’ultimo giorno sono arcobaleni, ponti veri – non apparenti, come credeva Zarathustra –, che vanno da anima a anima».