Silent night. Tre storie di Natale
«Mentre osservavo il campo ancora sognante, i miei occhi hanno colto un bagliore nell’oscurità. A quell’ora della notte una luce nella trincea nemica è una cosa così rara che ho passato la voce. Non avevo ancora finito che lungo tutta la linea tedesca è sbocciata una luce dopo l’altra. Subito dopo, vicino alle nostre buche, così vicino da farmi stringere forte il fucile, ho sentito una voce. Non si poteva confondere quell’accento, con il suo timbro roco. Ho teso le orecchie, rimanendo in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la nostra linea un saluto mai sentito in questa guerra: Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!»
Soldato Frederick W. Heath
24 dicembre 1914, fronte occidentale, trincee delle Fiandre, a sud di Ypres.
È un inverno gelido in Europa, da cinque mesi è scoppiata la guerra. Nel cuore del Belgio infuriano i combattimenti degli alleati inglesi, belgi e francesi contro i nemici tedeschi e nemmeno l’appello del Papa per un cessate il fuoco è stato ascoltato.
Nella notte della vigilia di Natale dalla prima linea tedesca si vedono luci. Frederick W. Heath, soldato britannico di guardia, lancia l’allarme, ma qualche attimo dopo nel silenzio si sente una voce con accento tedesco che grida: “Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!”. I militari di entrambi gli schieramenti si avvicinano lentamente, disarmati attraversano la “terra di nessuno”, si incontrano, si salutano, si abbracciano. È la “tregua di Natale”.
Non sarebbe conosciuta questa storia se le lettere dei soldati al fronte che raccontavano alle loro famiglie questo “miracolo” non fossero state pubblicate da alcuni giornali, soprattutto inglesi, e se due giornalisti britannici, Alan Cleaver e Lesley Park, non le avessero raccolte nel 1999 per la stesura del libro Plum Puddings For All e nel website “Operation Plum Puddings: The Christmas Truce”.
Queste lettere che, ricorda Antonio Besana, “non possono essere considerate documenti storici”, non potendosi nemmeno “escludere che i redattori dei giornali, nella fase di pubblicazione, abbiano deciso di tagliare o in parte modificarne il testo” ( La tregua di Natale – Lettere dal fronte, a cura di Alberto Del Bono, Lindau, Torino, 2014), raccontano in prima persona di canti natalizi, scambio di doni, abbracci, sorrisi, forse una partita di calcio e la celebrazione di una messa.
Raccontano di una tregua non ufficiale, poi sanzionata dai superiori militari, raccontano il coraggio dell’essere tutti umani e del cantare le stesse melodie. E che, come scrisse Alan Cleaver, “la pace può essere una scelta più ardua rispetto alla guerra, ma è sempre la scelta migliore”.
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24 dicembre 1968, missione Apollo 8, fra la Terra e la Luna.
Il comandante Frank Borman e i piloti James A. Lovell Jr. e Bill Anders sono nello spazio da tre giorni, sulla prima navicella con uomini a bordo attorno alla Luna.
Non sono preparati ad assistere a un’alba speciale: non quella del Sole, per la prima volta quella della Terra. Earthrise è il nome dato alla fotografia AS8-14-2383HR della NASA, il primo scatto del nostro pianeta da un altro corpo celeste.
“Andammo in orbita lunare, per primi – ricordava Anders, autore della foto – “ed eravamo molto eccitati. Ci addestravamo per quell’obiettivo da molto tempo, eravamo comunque meravigliati. Ma anche un po’ delusi. In realtà andare sulla Luna ci fece riscoprire un po’ di più la nostra Terra. Quando la vedi da 400mila chilometri di distanza, fa un effetto particolare”.
Il sorgere della Terra viene scattato in pochi secondi, d’improvviso, mentre sul pianeta oggetto dello scatto vi sono guerre, movimenti rivoluzionari, cambiamenti d’epoca. Eppure, in quei pochi secondi, gli umani possono solo fermarsi e guardare: quanto, in una notte di Natale entrata nella storia, lo sguardo da un’altra prospettiva, in silenzio e in solitudine, cambiò le dimensioni.
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«Fernando Silva dirige l’ospedale pediatrico di Managua.
Una vigilia di Natale rimase a lavorare fino a tardi. Si sentivano già gli scoppi dei razzi, e i lampi dei fuochi d’artificio illuminavano il cielo, quando Fernando si decise ad andarsene a casa, dove lo aspettavano per la festa.
Mentre stava facendo un ultimo giro attraverso le corsie per vedere se tutto era in ordine, sentì d’un tratto un lieve rumore di passi alle spalle. Passettini di bambagia. Si volse, e vide uno dei piccoli pazienti che lo seguiva.
Nella penombra, lo riconobbe, era un bambino che non aveva nessuno. Fernando riconobbe quel viso già segnato dalla morte e gli occhi che chiedevano scusa, o forse chiedevano permesso.
Fernando gli andò vicino e il bimbo lo sfiorò con la mano:
“Diglielo…” sussurrò. “Di’ a qualcuno che io sono qui”.»
(Eduardo Galeano, Notte di Natale, in Il Libro degli Abbracci, Sperling & Kupfer, Milano, 2005)
A chi è in guerra, in ospedale, a chi è sola, a chi è solo, di notte, in silenzio, nella Luce, Buon Natale.