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La guerra attraverso gli occhi e i disegni dei giovani rifugiati

In chiusura del 2024, uno degli anni dichiarati peggiori dall’UNICEF per i bambini che vivono in zone di guerra, si è tenuto in Università Cattolica il convegno Minori in contesti di conflitto in cui studiosi e ricercatori hanno sollecitato ancora una volta l’adozione di misure efficaci per migliorare le condizioni di vita dei bambini che si ritrovano a vivere sanguinosi conflitti. Di seguito un estratto dell’intervento della professoressa Cristina Castelli, vicepresidente e cofondatrice dell’associazione Realmonte, che da anni si occupa di giovani immigrati.

L’immagine della bambina sola in mezzo al mare, unica sopravvissuta al naufragio di una barca con 45 persone, è arrivata come un pugno al cuore proprio l’11 dicembre scorso durante il convegno Minori in contesti di conflitto promosso dall’Università Cattolica. Questa storia estrema di dolore, l’immagine della solitudine, della paura e del suo salvataggio hanno fatto da sfondo agli interventi di studiosi e ricercatori che per il 35° anniversario dell’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia si sono proposti di sollecitare ancora una volta l’adozione di misure efficaci per migliorare le condizioni dei bambini che vivono in zone di guerra che, secondo i dati dell’UNICEF, si tratta di un sesto dei bambini nel mondo.

Negli ultimi decenni, le dinamiche e l’impatto dei conflitti armati sulle vite dei minori è notevolmente peggiorato: infatti, i bambini sono sempre più coinvolti direttamente nei bombardamenti che vengono indirizzati verso obiettivi civili, case, scuole e ospedali. Solo l’attacco di Hamas del 7 ottobre e la risposta israeliana hanno portato a un numero mai registrato prima di bambini morti, feriti, spettatori di stupri o rapiti per essere arruolati come soldati.

La gravità di tutto ciò non si esaurisce quando tacciono le armi, dal momento che le tracce drammatiche di ciò che accade permangono nel corpo e nell’anima dei bambini per lunghi anni. Negli anni l’associazione Realmonte ha raccolto una documentazione grafico-pittorica di alcuni minori rifugiati in Italia, che è stata presentata al convegno che si è tenuto in Università Cattolica lo scorso 11 dicembre.

La fuga di Nargis Yawari
La fuga di Nargis Yawari.

Si tratta di una testimonianza di particolare rilievo che serve come monito contro la follia della guerra e di chi la promuove. Il disegno è la forma di espressione privilegiata del bambino e ha valore narrativo perché racconta, grazie a un linguaggio universalmente comprensibile, la sua storia e quanto sta vivendo in un determinato momento: a Milano, per esempio, durante il periodo natalizio i disegni dei bambini si arricchiscono di abeti colorati, palline, capanne con i personaggi del presepe; in estate, compaiono mare, giochi e ombrelloni; normalmente troviamo casette, personaggi famigliari sotto un cielo blu e un sole splendente. Non sono così i disegni dei bambini in guerra: questi raccontano gli orrori vissuti e la morte, pongono interrogativi senza risposta sul senso di ciò che vivono, sono espressioni dei loro desideri, rappresentazioni di paure e traumi, ma anche di incrollabile speranza nella pace. Questi mezzi di comunicazione, semplici e spontanei, ci fanno capire le conseguenze indicibili sull’infanzia, l’angoscia e i sentimenti di paura provati, per esempio, durante il conflitto in Kossovo, la fuga dall’Afghanistan attraverso il deserto e per mare, lo spaesamento nei campi profughi di Lesbo e di Lampedusa e il terrore alla vista dei droni nei cieli dell’Ucraina, di Gaza e del Libano dove le bombe piovono come caramelle infuocate.

Senza titolo di Nargis Yawari
Senza titolo di Nargis Yawari.

Le conseguenze sono note: la fuga per migliaia di bambini che vengono sballottati da un posto all’altro, senza giocattoli nel loro piccolo bagaglio da profughi, lo smembramento delle famiglie, i traumi.

Per tutto questo, Papa Francesco non cessa di rivolgere accorati appelli denunciando le conseguenze durature degli eventi bellici che non discriminano bambini palestinesi, israeliani, libanesi cristiani o mussulmani. Le distruzioni, le vite spezzate, i traumi personali e collettivi, l’odio e sete di vendetta perdureranno a lungo nel tempo e questa scia avrà conseguenze importanti sui bambini di domani che faticosamente dovranno intraprendere cammini di pace.

Le ferite che si porta dietro la storia sono infatti difficili da rimarginare. Ancora oggi Milano ricorda i 184 bambini morti nell’ottobre del 1944 durante il bombardamento della loro scuola nel quartiere di Gorla. E, solo per stare in Europa, nella piazza di Sarajevo un monumento riporta i nomi di 524 bambini uccisi nell’assedio del 1992-1996, colpiti da cecchini mentre giocavano nei campetti o andavano a scuola. L’invasione russa dell’Ucraina, oltre a una scia di distruzioni e morti, ha comportato lo smembramento di migliaia di famiglie fuggite verso vari paesi europei e la deportazione forzata, secondo Children of War del National Information Bureau (NIB), di 19.500 bambini in Russia.

Oltre il confine di Nargis Yawari.
Oltre il confine di Nargis Yawari.

Ma perché? Se lo chiedono i bambini italiani, anche loro come i coetanei che le guerre non le hanno viste in televisione ma vissute sulla propria pelle, si chiedono il perché di tanta sofferenza, di tanto odio.

Ma perché?

Ancora una volta ci viene in aiuto l’appello di Papa Francesco al termine dell’Angelus del 1° novembre: «Con la guerra si cerca il massimo interesse per sé e il massimo danno per l’avversario calpestando vite umane, ambiente, infrastrutture e tutto mascherato di menzogne. E soffrono gli innocenti».

Quindi al loro perché? la risposta è perché non c’è amore. Solo l’amore come espresso nell’ultima enciclica Dilexit nos porterà la pace e i bambini questo lo sanno perché nel loro vocabolario grafico non ci sono solo scene di guerra ma mescolati tra le rovine ammassate compaiono spesso anche un sole, un fiore e tanti cuoricini: piccoli segni di speranza.

L’educazione al sicuro oltre la frontiera .di Nargis Yawari
L’educazione al sicuro oltre la frontiera di Nargis Yawari.

Le immagini, compresa quella in copertina, sono di Nargis Yawari, una giovane rifugiata afghana che ha iniziato a disegnare durante i mesi passati nel campo profughi di Lesbo, in Grecia. Oggi studia in Italia per diventare un giorno un’artista riconosciuta. I suoi primi disegni sono raccolti nel volume Rifugiati chi? Il rischio della speranza. 9 parole per conoscere e comprendere (EDUCatt, 2022).

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