Comunicazione

Non agitare il cane

Un’espressione idiomatica che dice molto del distrarre l’attenzione da un problema: una pratica frequente nella comunicazione politica ma che suscita tentazione anche in azienda. Decisamente, però, da non utilizzare.

Sesso&potere è il (brutto, onestamente) titolo italiano di un film diretto nel 1997 da Barry Levinson (noto anche per Bugsy, Sleepers e Rain man – L’uomo della pioggia, con cui vinse un Oscar) e interpretato tra gli altri da Robert De Niro, Dustin Hoffman e Anne Heche. Tratto dal libro American Hero di Larry Beinhart, racconta del tentativo di distogliere l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica da uno scandalo sessuale che coinvolge il presidente degli USA e guadagnare consensi, mettendo in scena una finta guerra con l’Albania, con la liberazione di un falso soldato americano, ostaggio dei nemici; ma le cose non vanno proprio come i protagonisti spererebbero.

È una commedia nera; a qualcuno la trama pare ricordare qualche scandalo più lontano nel tempo – come la sorprendente coincidenza tra il caso Clinton-Lewinsky e gli attacchi terroristici alle ambasciate USA in Africa del 1998; ma il film era uscito prima – o più vicino – uno dei numerosi casi che hanno coinvolto Donald Trump; nel periodo della sua prima presidenza i media ne hanno parlato soprattutto in occasione dell’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani, compiuta all’inizio di gennaio 2020 con un attacco mirato di un drone statunitense all’aeroporto di Baghdad, in Iraq, e concomitante al primo tentativo di impeachment avanzato dai democratici del dicembre 2019. La trama in effetti rispecchia, soprattutto in politica, l’uso abbastanza consueto di spostare il focus dell’attenzione pubblica su argomenti più o meno secondari per guadagnare consensi o distrarre rispetto a un argomento dannoso.

È una strategia di comunicazione codificata almeno dal 1866, ma che dai primi anni Novanta del secolo scorso ha trovato popolarità anche grazie alla costruzione di fake news – che esistono da sempre, ma per costruire le quali qualcuno in quegli anni mormorava, neanche troppo a bassa voce, che George W. Bush si fosse fatto aiutare anche dai produttori di Hollywood (tra gli altri anche Larry Beinhart, che ne riportava la tesi appunto in American Hero, poi nel 2004 reintitolato proprio Wag the dog) –, una tecnica che è diventata poi la normalità del “dibattito” politico in questi anni.

L’interessante espressione che la identifica è «wag the dog», che poi è anche il titolo originale del film da cui siamo partiti. Un adagio che nella sua versione completa recita «Why does a dog wag its tail? Because the dog is smarter than the tail. If the tail was smarter, it would wag the dog»; traducibile più o meno così: «perché il cane agita la sua coda? Perché il cane è più intelligente della coda. Se la coda fosse più intelligente, sarebbe lei ad agitare il cane».
Significa insistere sull’idea dell’indirizzare l’informazione per fare in modo che sia l’argomento meno importante (la coda) ad agitare la massa (il cane), diventando più importante del principale.

È una strategia semplice che, per quanto alcuni ritengano non sia più utilizzabile nell’oggi iperconnesso, in cui non è necessario chiamare un produttore di Hollywood per generare contenuti fasulli, è possibile ancora trovare alla base di molta comunicazione pubblica, di moltissima comunicazione politica (che frequentemente è meno raffinata delle altre, dal momento che si indirizza particolarmente all’umore della gente) e a volte anche aziendale.

È infatti una tentazione forte anche in azienda, quella di governare una crisi distraendo l’attenzione del proprio pubblico di riferimento: verso un nuovo prodotto, verso un nuovo metodo di produzione, inventando nuove iniziative, nuove campagne e perfino nuovi bisogni.

Spesso funziona, anche; soprattutto verso un pubblico disattento, bombardato da un agitarsi di code neppure lunghe, ma che permettono di nascondere problemi e reindirizzare l’attenzione. Ha un problema di fondo, però. Non è una comunicazione onesta.
In più, ha vita corta – e dunque può essere utilizzata solo sul breve periodo e richiede di essere sostituita con un’altra più sproporzionata, in una spirale di menzogna che continua a stringersi fino al soffocamento – e se (o meglio quando) scoperta rischia di creare un danno maggiore di quello generato da ciò che si voleva coprire.
Siamo certi che ne valga la pena? Lasciamo che il cane agiti la coda solo per dirci che è contento.

EDUCatt EPeople