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Cosa resta alla poesia

Cosa è la poesia, a chi si rivolge? E cosa resta alla poesia? Se le prime domande non mutano e accompagnano da sempre l’arte poetica, la terza è un interrogativo cui dare risposta.

Nel 1999 la XXX Sessione della Conferenza Generale UNESCO scelse il 21 marzo, il primo giorno di primavera, per celebrare la Giornata Mondiale della Poesia, con l’obiettivo di promuovere una delle più antiche forme di creatività dell’essere umano, comune a tutti i popoli e a tutte le lingue.

Ma se ne primi secoli della sua esistenza la poesia era parola recitata e memoria, era voce che si espandeva nello spazio, che cosa è oggi la poesia?

«La poesia | non muta nulla. Nulla è sicuro. Ma scrivi» fissava nel 1963 Franco Fortini in un potente testo politico dal titolo Traducendo Brecht nella sua raccolta Una volta per sempre. Oggi, questi versi non solo valgono ancora ma hanno amplificato il loro senso. Se la poesia infatti ha perduto ogni pretesa di aura simbolica e di ogni effetto sulla realtà, è altrettanto evidente che l’età attuale si caratterizza per un senso diffuso di insicurezza, per l’incredulità rispetto alle fonti, alla tradizione, all’autorevolezza, per il disinganno usato come arma politica e retorica, per la rimodulazione dei rapporti di forza tra uguali e disuguali. Un oscuro sentimento di catastrofe, anticipato dalla fantascienza, e radicato nella pandemia, nelle guerre, nel collasso ambientale, nelle minacciose promesse dell’intelligenza artificiale, si è diffuso nelle persone di ogni età alimentando la percezione dell’insicurezza e quindi le pratiche securitarie. L’imperativo della scrittura sembra poi essere stato seguito in ogni campo con veemenza, tramutandosi in un’alluvione impoetica che ha inondato non solo l’istituto della poesia stessa ma ogni angolo della vita umana. Il filosofo Byung-chul Han si riferisce all’uomo come ad un infoma che vive in una infocrazia, cioè come a un contenitore di informazioni che vive in una società di informazioni diffuse con l’obiettivo di catalogare per poi spiare, vendere, controllare.

In questo desolante panorama la poesia si trova ai margini. Perduta l’aura, il lessico specifico, i vincoli come le leggi metriche recuperati solo con intento ironico, fintanto l’opposizione alla prosa, la memorabilità, assente l’ascoltatore, che cosa resta alla nobile arte del fare, dell’inventare, del comporre, del creare, secondo l’etimologia greca del termine?

Intanto, interrogare i margini. Abitare gli interlinea, gli spazi tra le parole, gli interstizi tra le lettere, scovare una resistenza alla fretta, alla velocità, alla riproduzione, recuperando il passato ma anche campionando il presente per ridurlo, deriderlo, amplificarlo, leggerlo nella complessità.

La poesia, anche ora, è una forma di esaltazione delle propensioni cognitive, è un irriducibile compendio delle capacità biologiche della persona e, come tale, può rappresentare uno degli strumenti per comprendere la porzione di mondo che abitiamo per offrirla agli altri come gesto tangibile di prossimità.

Questo assunto porta con sé varie responsabilità, comprese quelle dello studio, della fatica, dell’esercizio del tempo. Nel 1935 il critico letterario e filologo Gianfranco Contini scriveva che «ogni posizione stilistica, o addirittura grammaticale, è una posizione gnoseologica». Componendo attraverso le chat dell’AI, che sono già in grado di scrivere qualsiasi cosa abbattendo il tempo e lo sforzo anche se, per ora, con mediocrità stilistica, questa asserzione potrebbe apparire ridicola o superata. Niente di più sbagliato, intanto poiché ogni mezzo è ideologico e assume su di sé un’idea mai neutrale e poi perché nessun sintagma, tanto più se pronunciato da un essere umano, dice solo quello che dice.

Alla poesia e a chi la pratica, come scrivente o come lettore, forse resta proprio questa ricchezza: la comprensione profonda che ogni gramma non è lettera interscambiabile ma postura di fronte al mondo, che sia una mano tesa o uno sguardo carico d’ira.

Simone Biundo

Simone Biundo (Genova, 1990) è insegnante di lettere a Genova in una Scuola secondaria, è editor della rivista «VP Plus», è ricercatore indipendente di storia dell’editoria e della letteratura. Ha pubblicato poesie su «Neutopia», «Margutte», «Poesia del nostro tempo» e «Nuovi Argomenti». Per Interno Poesia è uscito il suo primo libro di poesie, "Le anime elementari" (2020). Con il poeta Damiano Sinfonico, l’attrice e linguista Sara Sorrentino cura la rassegna di poesia contemporanea , poet. – alla libreria Falso Demetrio. Qui in EDUCatt collabora come ghostwriter, SMM e content manager.

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