Comunicazione

La rivoluzione della gentilezza

Scegliere una comunicazione corretta, che tenga conto anche del punto di vista altrui, che si soffermi sul valore delle parole – quelle da dire, ma anche (certe volte soprattutto) quelle da non dire – e stabilisca un criterio di parità come «rispetto delle differenze» può aiutare a promuovere un dialogo responsabile e una maggiore consapevolezza, sostenendo le proprie ragioni facendo forza sulla competenza e mantenendo le proprie qualità, anche quando il contesto non è favorevole.

Racconta il fisico Carlo Rovelli – divulgatore, saggista, noto per le sue ricerche e al grande pubblico per il bestseller Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi), «serenamente ateo», come si definisce – a proposito di un suo viaggio in un’Africa sperduta, di una sua visita alla Moschea di Mbour, in Senegal. All’ingresso si toglie i sandali, li prende in mano e si incammina; un giovane si affretta verso di lui con l’aria preoccupata, gli si rivolge dicendo qualcosa che Rovelli non comprende.
È chiaro che ha fatto qualcosa di sbagliato.
Il giovane indica le scarpe che ha in mano: la regola non è di non entrare nella moschea con le scarpe ai piedi, è di non portare comunque scarpe dentro la moschea…
Rovelli esce subito dalla porta e appoggia le scarpe fuori, dove ce ne sono altre.
Fa per rientrare ma un uomo anziano gli sorride, dice qualcosa al ragazzo che lo ha ripreso. Prende i sandali di Rovelli, li infila in un sacchetto di plastica scuro e li porta lui stesso dentro la moschea, ridandoglieli in mano sorridendo. Anche il giovane adesso prende a sorridere.
Imbarazzato, Rovelli prende le scarpe, senza parole; commenta che «esistono posti al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza» (il racconto è nel volume Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza, Solferino, Milano 2020).
È un aneddoto semplice, che parla di regole e di diffidenza, ma soprattutto di gentilezza nella comunicazione (in questo caso neppure verbale): un atteggiamento, tanto più in un periodo in cui la polarizzazione delle opinioni e la legge del mercante più forte sembrano prevalere, che suona come una rivoluzione.
Più che altro, che di solito funziona.

Nel 2024, venti personaggi pubblici intervistati da «Gentleman» avevano indicato la gentilezza come chiave del successo aziendale: «la nuova leadership è inclusiva, empatica, consapevole, etica».
Del resto, un’indagine di InfoJobs condotta su un campione di 1.350 lavoratori in Italia riportava che il 65% degli intervistati considera la gentilezza un elemento cruciale sul luogo di lavoro; per il 96%, inoltre, la gentilezza consente anche di aumentare la produttività. E non sono gli unici vantaggi: la stessa ricerca rileva che per il 78% degli intervistati dovrebbe essere un elemento determinante in fase di selezione nella ricerca di lavoro. Quando poi a essere gentile è il capo, il clima che si crea permette di ottenere il massimo dalle persone, che per il 93% degli intervistati si sentono più motivate e responsabilizzate.

Come ricordava Fausto Colombo – che di questa caratteristica aveva fatto una cifra anche personale – nel bel volumetto Ecologia dei media (Vita e Pensiero, Milano 2020), che significativamente recita nel sottotitolo Manifesto per una comunicazione gentile, quello della scelta tra ostilità e gentilezza, tra «kindness» (è la parola caratterizzante l’Assemblea del Movimento Mondiale della Gentilezza che si è svolta a Palermo a ottobre 2024) e aggressività è un crocevia in cui anche il singolo – tanto più se ha un ruolo pubblico – può scegliere di direzionare la comunicazione verso una «dimensione meno inquinante, articolata nel rispetto e nel riconoscimento dell’altro e nella visione aperta, curiosa e non pregiudiziale del mondo che vogliamo comunicare».

Fare un passo indietro, non replicare, utilizzare un tono discorsivo anche in contesti critici sono tecniche che si applicano alla comunicazione online ma che appartengono alla sfera tradizionale della comunicazione, intesa innanzitutto come incontro con l’altro.
Che poi è anche una delle basi della Pragmatica della comunicazione umana teorizzata dallo psicologo austriaco (naturalizzato statunitense, e un po’ anche italiano perché laureato alla Ca’ Foscari di Venezia) Paul Watzlawik nel 1971 per il Mental Research Institute (MRI) di Palo Alto, che sorgeva nella zona in cui poi avrebbero trovato sede alcune delle Aziende cui appartengono le più note piattaforme social, da Meta a Linkedin.

Scegliere una comunicazione corretta, che tenga conto anche del punto di vista altrui, che si soffermi sul valore delle parole – quelle da dire, ma anche (certe volte soprattutto) quelle da non dire – e stabilisca un criterio di parità come «rispetto delle differenze» può aiutare a promuovere un dialogo responsabile e una maggiore consapevolezza anche nei nostri interlocutori.

Regole semplici da enunciare, quasi scontate, ma tanto più preziose da tenere presenti nella pratica professionale.
C’è chi ne ha stilato anche un Manifesto: il progetto «Parole O_Stili» dal 2016 opera per contrastare la violenza verbale e valorizzare il potere del linguaggio nel costruire relazioni, comunità e futuro; nel 2017 ha dato vita al Manifesto della Comunicazione Non Ostile: dieci principi per scegliere con cura le parole di ogni giorno e per vivere la Rete con rispetto e attenzione.
Il Manifesto, che è tradotto in 35 lingue e si declina in ambito aziendale ma anche sportivo e politico, è uno strumento ripreso più volte anche da papa Francesco per creare ponti di parole e distruggere barriere penetrando «nei muri visibili e invisibili del nostro tempo» ed è stato sottoscritto da migliaia di professionisti e da numerosissime aziende (ultimamente, peraltro, anche in Università Cattolica dalle Associazioni di alumni e collegiali).

Il che non significa, tuttavia, essere arrendevoli né tanto peggio cedere all’irrazionalità altrui, ma sostenere le ragioni di un’idea, di un progetto, di una campagna facendo forza sulla competenza e mantenendo le proprie qualità, anche quando il contesto palesemente non è favorevole, è dispersivo o non ha voglia di avere idee né tantomeno di ascoltarle.

Essere precisi spesso ci aiuterà a riportare l’attenzione sul punto; usare parole di cui abbiamo pesato il significato e le conseguenze potrebbe aiutarci a smorzare, se non a far cambiare, l’atteggiamento o il risultato di una riunione, l’orientamento di una decisione, la riuscita di un progetto.
Consentirà, in ogni caso, soprattutto di «smettere di essere noiosi», come ha invitato a fare Yulia Navalnaya al Parlamento Europeo dodici giorni dopo la morte del marito Alexei Navalny.

Per riprendere ancora il prof. Colombo, «per difendere l’ambiente possiamo rinunciare a qualcosa per salvarci tutti. Ricuperare la funzione originaria della comunicazione come legame significa scoprire che ogni comportamento scorretto crea diverse vittime, a cominciare da chi lo adotta. L’hater abbassa la propria qualità di persona, e così è per chi preferisce restare nella propria filter bubble e, per non stimolare una curiosità verso il mondo e il diverso da sé, rinuncia all’opportunità di essere più umano».

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