Riflessioni

Il desiderio del cielo

Una riflessione poetica e musicale che prende avvio da un viaggio in treno: Marco Soldo ci accompagna all’ascolto della celebre “E ti vengo a cercare” di Franco Battiato, intrecciando riferimenti a Platone, alla mistica, a Bach. Un viaggio dell’anima che si conclude, come il tragitto in treno, in una quiete raggiunta.

Il treno ha fischiato. Ognuno ha preso posto nel vagone sonnacchioso; nelle cuffie E ti vengo a cercare di Franco Battiato, lavoro del 1988 fra i più sublimi del repertorio del cantautore siciliano che lo scorso 23 marzo avrebbe compiuto ottant’anni; canzone capace di rapire verso l’alto («…un rapimento mistico e sensuale mi imprigiona a te…») facendo verticalmente impennare quel desiderio di ricerca che ogni ascoltatore percepisce dentro di sé, aspirazione già espressa nel 1981 con Centro di Gravità permanente e destinata a ripetersi con Oceano di silenzio,1989, e L’ombra della luce,1991.

«E ti vengo a cercare…»

In effetti l’amore, perno di questa canzone, è sempre desiderio di ciò di cui si sente mancanza, come illustra Socrate nel Simposio di Platone; «…perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza…»: muovendosi come la cerva ai corsi d’acqua, l’autore sembra voler collocare in un orizzonte metafisico il cammino verso l’altro, incontro che definisce con più nitore la propria reale identità; il cammino assume sempre più la forma di un’ascesi («…dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri, non accontentarmi di piccole gioie quotidiane, fare come un eremita che rinuncia a sé…») in cui ascesa e introspezione si identificano («…perché in te vedo le mie radici…») fino a dichiarare la massima aspirazione: «Essere un’immagine divina di questa realtà».

Le note sfumano verso la conclusione quando mi accorgo che un’altra musica fa capolino prima di tornare al silenzio… Dopo un’intensa navigazione nell’arcipelago della memoria riconosco l’ultimo corale della Passione secondo Giovanni BWV 245 di J.S. Bach. Notevole espediente che spesso tornerà nei lavori del compositore siciliano (si ricordi ad esempio l’attacco del successivo Caliti junku costituito dal Che farò senza Euridice dall’Orfeo ed Euridice dl Gluck) che corrobora il carattere spirituale della canzone: infatti il testo luterano musicato dal Kantor di Lipsia recita: «…Fa che il corpo riposi senza crucci e pene, fino al nuovissimo giorno. E allora risvegliami e fa che i miei occhi ti guardino in allegrezza…»

L’ anima cantando aspira a ritornare alle sorgenti più profonde della propria essenza, e la tensione della ricerca è finalmente risolta in una calma pacificata… «E ti vengo a cercare perché sto bene con te, perché ho bisogno della tua presenza.»

Ma è tempo ormai di scendere, siamo già arrivati in stazione.

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